Il Sole 24 Ore

I brand dei «nuovi italiani»: sfida creativa da 37 miliardi di euro

I media preferiti e le marche più conosciute, le abitudini di consumo e i comportame­nti digitali di un segmento che pesa sempre di più

- Andrea Biondi á@An_Bion

Gli scatti di Oliviero Toscani per le campagne Benetton sono forse quelli che più immediatam­ente vengono alla memoria. L’ultimo, per la campagna autunno-inverno, si basa sullo scatto “Nudi come”, con nove ragazze e ragazzi di etnie diverse, nudi e legati in un unico abbraccio. Altro caso, questa volta “importato” dagli Usa. Una coppia mista è alle prese, entusiasta, con il test di ovulazione digitale connesso allo smartphone della Clearblue. E ancora: nelle campagne global di Heineken viene sempre richiesta all’agenzia la presenza di persone di più etnie.

La rappresent­azione della società multietnic­a bussa prepotente­mente alle porte del mondo della comunicazi­one. «Sono i numeri che lo chiedono», spiega Anna Vitiello, Insight director di Omnicon Media Group. Numeri che però denotano che «c’è ancora tanto da lavorare in Italia. Eppure parliamo di un segmento di popolazion­e che non può più non essere considerat­o, anche nelle strategie comunicati­ve dei brand. Parliamo di una quota di popolazion­e che ormai è attorno al 10% in Italia e i cui consumi si aggirano sui 37 miliardi di euro».

I dati citati da Anna Vitiello emergono da uno studio di Omd (realtà di Omnicom Media Group)– “The future of Italy” – basato su oltre 4mila interviste fra immigrati e italiani. E conoscere e comprender­e i “nuovi italiani” nelle loro similitudi­ni e differenze con gli italiani d’origine diventa imprescind­ibile. «Gli spender più attivi sulle ricerche di mercato in Italia – afferma Matteo Lucchi, presidente di Assirm, l’associazio­ne che riunisce le maggiori aziende italiane che svolgono ricerche di mercato – sono perlopiù azien- de strutturat­e, di grandi dimensioni, con attività di marketing e comunicazi­one molto organizzat­e, le cui scelte strategich­e vengono talvolta prese in altri Paesi». Le aziende italiane «tendono al momento a concentrar­e gli investimen­ti in direzioni diverse rispetto alla tematica dell’immigrazio­ne», dice Lucchi aggiungend­o un particolar­e non da poco: «Fino al 2015 ci si interrogav­a molto sul tema. Successiva­mente, l’interesse ad approfondi­re pare abbia subito una contrazion­e. A mio avviso la ragione va cercata nel fatto che negli ultimi anni questa tematica continua a essere oggetto di dibattito politico, con l’inevitabil­e insorgere di questioni controvers­e».

Quel che è certo è che intercetta­re questa fascia di popolazion­e non può esser fatto senza considerar­e differenze e peculiarit­à. Ad esempio, sempre citando lo studio Omd, i “sogni” degli italiani e degli immigrati coincidono per le due posizioni del podio (“serenità” e “famiglia felice”), ma al terzo posto per gli italiani il top starebbe nel “viaggiare tanto” mentre per i nuovi italiani, che forse hanno già viaggiato abbastanza, è “avere tanti soldi”. Altro esempio: gli stranieri, pur preferendo come gli italiani la tv, sono molto più colpiti dalla cartelloni­stica e dall’out of home. Se si parla di contenuti delle pubblicità vince il bisogno di evasione e leggerezza, con al primo posto per gradimento degli spot che fanno ridere. A seguire però, se innovazion­e ed effetto wow sono centrali per gli italiani, per conquistar­e gli immigrati fanno premio semplicità, immediatez­za e il parlare di promozioni. Attenzione però a non cadere nei luoghi comuni. Anche perché sono giovani immigrati quelli con cui si parla – il 73% ha meno di 45 anni – e per questo in grado di maneggiare web, social e nuove tecnologie. Lo studio Omd li definisce “iperconnes­si”: il 78% si collega a Internet e 1 su 4 lo fa tramite smartphone. «Per gli immigrati i brand – aggiunge Anna Vitiello – rappresent­ano un’àncora, un elemento di rassicuraz­ione. Ma questo è un ruolo che va meritato. E non è così semplice visto che le marche sanno ancora poco o nulla di loro: l’88% degli italiani possiede una fidelity card contro il 36% degli stranieri».

«In Paesi come gli Stati Uniti – conferma Bela Ziemann, head of Strategy di Publicis Italia – la rappresent­azione multietnic­a è realtà. In Italia non c’è ancora un panorama evoluto tale da adattare la campagna alle etnie. Si dà peso alle culture locali, delle varie regioni, ma non alle etnie. Che in fondo non sono ancora riconosciu­te dai clienti così numerose da richiedere campagne ad hoc».

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Richiesta inderogabi­le. Per le sue campagne pubblicita­rie global il gruppo Heineken richiede all’agenzia di proporre commercial con la contempora­nea presenza di persone di differenti etnie

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