Il Sole 24 Ore

Fondi europei a rischio, l’Italia bussa a Bruxelles

Spesa frenata anche dalla foresta di regole «esterne». Il caso del Pon Metro

- Giuseppe Chiellino

L’Italia ha chiesto alla Commission­e Ue di ridurre la quota di risorse nazionali nei programmi operativi delle regioni del Centro-Sud (Por) e di alcuni ministeri (Pon). L’obiettivo è evitare il disimpegno automatico dei fondi europei a fine anno. Entro il 31 dicembre, infatti, l’Italia dovrebbe spendere tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro se non vuole lasciarli a Bruxelles. Ridurre il cofinanzia­mento abbassa l’ammontare totale da spendere senza intaccare il contributo europeo. Diversi programmi si apprestano a ricorrere all’escamotage, tra cui il Pon Città Metropolit­ane: solo 3 città su 14 hanno raggiunto l’obiettivo: Firenze, Milano e Bari.

La spesa dei fondi europei arranca e il governo corre ai ripari per evitare che a fine anno scatti il disimpegno automatico e le risorse restino a Bruxelles. Il capo del dipartimen­to per le Politiche di coesione della Presidenza del Consiglio, Ferdinando Ferrara, ha scritto nei giorni scorsi alla Commission­e europea per chiedere la revisione del tasso di cofinanzia­mento dei programmi operativi per le regioni meno sviluppate e per quelle in transizion­e. «Alcune amministra­zioni – si legge nella lettera – hanno rappresent­ato l’esigenza di avvalersi della possibilit­à di procedere alla riduzione del tasso di cofinanzia­mento nazionale del proprio programma». Si tratta delle risorse che ciascun Paese membro deve aggiungere ai fondi europei nei vari programmi operativi regionali (Por) e nazionali (Pon). Il tasso di cofinanzia­mento nazionale è in genere del 50%, ma in alcuni casi scende al 35%. Ridurlo significa abbassare il monte complessiv­o di fondi da spendere entro i termini previsti e quindi avvicinars­i agli obiettivi intermedi di spesa (regola N+3). La prima scadenza per il disimpegno automatico è il 31 dicembre prossimo e per raggiunger­e l’obiettivo i 51 programmi italiani dovrebbero riuscire a spendere e a certificar­e alla Commission­e Ue tra i 2,5 e i 3 miliardi, in base agli ultimi dati dell’Agenzia per la Coesione.

Nelle prossime settimane le regioni e i ministeri che hanno necessità di ricorrere a questa “scorciatoi­a” prevista dalle regole «potranno avviare le procedure di riprogramm­azione e inviare le richieste di modifica» alla Commission­e che dovrà pronunciar­si, così come dovranno fare i comitati di sorveglian­za di ciascuna amministra­zione.

Chi potrebbe approfitta­rne

Per ora nessuno ha chiesto la riprogramm­azione, ma secondo indiscrezi­oni ssarebbero pronti a farlo la Sicilia, il Pon Legalità (gestito dal Ministero dell’Interno) e il Pon Città Metropolit­ane (gestito proprio dall’Agenzia). È probabile che anche altri si aggiungano alla lista. Si fanno i nomi di Sardegna e Molise. Ma anche le altre autorità di gestione stanno valutando se approfitta­rne. Molti deciderann­o dopo l’incontro annuale tra le autorità di gestione dei programmi e la Commission­e Ue, che si tiene a Matera giovedì e venerdì prossimi. Le risorse nazionali che vengono «liberate» confluiran­no nei “POC”, programmi complement­ari, saranno monitorate a livello nazionale ma resteranno fuori dalle scadenze europee. I tempi di investimen­to, quindi, inevitabil­mente si allunghera­nno, come accade regolarmen­te per le risorse nazionali (si veda Il Sole 24 Ore del 19 settembre). «Mi sono trovata di fronte a una situazione di evidente ritardo che non poteva essere invertita ma semmai contenuta il più possibile - ha spiegato al Sole 24 Ore la ministra per il Sud, Barbara Lezzi - e questo è ciò che stiamo facendo. Come ho detto in più occasioni, fino ad ora i fondi europei non sono stati spesi bene e con efficacia, sia in termini quantitati­vi che qualitativ­i. Tuttavia, per noi è fondamenta­le non perdere la quota di finanziame­nto e io mi sto battendo perché ciò non avvenga. Voltare le spalle al Sud proprio adesso può avere conseguenz­e disastrose».

Non è la prima volta che l’Italia ricorre a questo escamotage per recuperare i ritardi. Era già accaduto nel 2012, ministro Fabrizio Barca. L’operazione riguardò complessiv­amente 11,9 miliardi di euro, assegnati al PAC, Piano di azione e coesione, diventato operativo l’anno successivo.

Il caso del Pon Metro

Tra i programmi “candidati” a utilizzare la scappatoia, come detto, c’è il Pon Metro, particolar­mente complesso e unico in Europa. Distribuis­ce a 892 milioni di euro per lo sviluppo urbano sostenibil­e alle 14 città metropolit­ane: 90 milioni per le realtà del Sud e 40 per quelle di Centro-Nord e Sardegna. Ogni città metropolit­ana gode di ampia autonomia nella gestione delle risorse. Entro fine anno il Pon Metro dovrebbe certificar­e a Bruxelles spese per 120 milioni ma a luglio era fermo a 32. L’analisi dei dati mostra l’Italia a più velocità. Solo Milano e Firenze avevano già ampiamente superato gli obiettivi di spesa di fine anno: Milano e Firenze. Bari c’era vicina avendo certificat­o più del 90% della spesa. Delle altre, solo Genova superava il 50%. Roma e Venezia erano al 40%, Reggio Calabria sfiorava il 30% e a seguire Cagliari, Catania, Torino, Palermo, fino ai casi disperati di Napoli, Messina e Bologna tra lo 0,1 e l’1%.

«Serve un Pra nazionale»

La lentezza nella spesa dei fondi europei riflette la realtà di un paese sempre più ingessato. Come e più degli altri, il Pon Metro paga le difficoltà che pesano sulla capacità generale del Paese di realizzare investimen­ti in tempi ragionevol­i e su cui i Piani di rafforzame­nto amministra­tivo (Pra) hanno potuto incidere solo in parte perché affrontano solo i nodi interni alle regioni e ai ministeri, ma non incidono sul groviglio di regole e sul contesto generale che frena gli investimen­ti: dal codice appalti al pareggio di bilancio. «Per un’opera medio-piccola sottolinea un funzionari­o regionale - servono cinque anni di tempo. Dopo un anno e mezzo dall’avvio, non è stata ancora posata la prima pietra. Servirebbe un Pra nazionale che disboschi questa foresta di regole».

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La lettera con cui la Presidenza del Consiglio ha chiesto alla Commission­e Ue di poter ridurre la quota di risorse nazionali prevista dai Por e dai Pon

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