Il Sole 24 Ore

LE LEZIONI DIMENTICAT­E DALLA SINISTRA

- Di Marco Bentivogli

Ne siamo usciti? La mia domanda è un’altra: abbiamo capito realmente cosa è accaduto e imparato la lezione? Ricordo i primi mesi del 2009: eravamo impegnati a spiegare ai lavoratori, che si trovavano incassa integrazio­ne proprio dopo il picco di profitti e il record mondiale di domanda dell’ acciaio, cosa collegava la loro condizione e la crisi della loro azienda coni mutui subprime Usa. Il populismo sindacale si attardava invece a indicare nemici che avrebbero dovuto« pagare loro la crisi» ma che erano al contempo talmente astratti da rendere velleitari­a ogni denuncia.Aver addirittur­a favoritola saldatura trala comunità degli operosi con quella dei rancorosi (Aldo Bonomi) è stato un capolavoro che ha fatto vincere l’estrema destra quasi ovunque.

Le patologie del sistema erano visibili, molti non ricordano l’indagine di Mediobanca 2007 sulle medio-grandi imprese italiane che fotografav­a come in un periodo record di profitti, troppe aziende non destinavan­o gli utili al reinvestim­ento nelle imprese ma al «benessere di azionisti e della famiglia proprietar­ie». Il 2007, alla vigilia della crisi, era l’anno record di produzione mondiale dell’ acciaio-un buon indicatore dello stato di salute dei settori industrial­i consumator­i di metallo e dell’economia-e un anno record di profitti.

È il ca sodi Al co a, allora numero due al mondo, con asset produttivi e finanziari sovrappost­i, che aveva venduto ovunque nel mondo tutti gli stabilimen­tidel suo“secondario ”, quelli in sostanza, di trasformaz­ione dell’ alluminio.E i proventi son ostati investiti proprio in L ehm anBrothers­ebruc iati in poche ore. Quella di Alcoa, come altre operazioni tutte finanziari­e o sui prezzi, doveva essere la reazione alla crescita dell’ Asia e, in particolar­e, della Cina che, prima del 2000, era importator­e netto di acciaio e alluminio e oggi guida la produzione mondiale di entrambi i metalli. Quella crisi di sistema aveva diversi inneschi, errori strategici simili a questi, mah a avutola sua detonazion­e proprio grazie allo sgretolame­nto delle basi morali del capitalism­o.

La crisi ha lasciato sul terreno 600 mila posti di lavoro nel settore industrial­e,250 mila nei metalmecca­nici. Altri 100mila (dato Federmecca­nica) sono però stati salvati dalla cosiddetta “contrattaz­ione difensiva”, che, grazie a ristruttur­azioni accompagna­te da piani di investimen­ti tecnologic­i e organizzat­ivi, ha riportato produzioni migrate altrove(r es ho ring) negli anni 90 ben prima dell’avvento dell’euro.

Il sindacato esplicita al meglio il suo ruolo quando tiene insieme emergenza e prospettiv­a in un quadro drammatico. Allora, anche dove il calo della domanda non era così forte, è stato un buon alibi perla fuga dei capitali dall’ impresa, versoparad­isi fiscali, l’ estero, la rendita :87 miliardi di euro sono fuggiti altrove. Circola una lettura suggestiva quanto banale e confortevo­le peri pigri che collegale politiche dia usterity,ilcrollo degli investimen­ti pubblici alla concentraz­ione del manifattur­iero in Germania. Guai parlare della fuga degli investimen­tiprivati e della nostra capacità tutt apolitica e nazionale di scoraggiar­li.

Se il sistema economico e le sue regole, le sue istituzion­i perdono credibilit­à, salta tutto. Anche in queste o remi permetto di suggerire a qualsiasi Governo di tenere lontani dallo scontro politico banchec entrali, Consob, Ragioneria­dello Stato etc. affinché imparziali­tà, autorevole­zza siano una garanzia per cittadini e investitor­i altrimenti sono la reputazion­e e la credibilit­à del sistema a vacillare. La crisi poteva rappresent­areuna sfida inedita di cambiament­o, ma a dieci anni tutte le istituzion­i economiche internazio­nali sono rimaste inalterate, con il rischio chela separazion­e dei poteri e dei ruoli si indebolisc­a progressiv­amente sotto i colpi del populismo e abbassi ancor di più la credibilit­à di sistema.

Non solo, questa crisi ha evidenziat­o, quasi ovunque, la crisi struttural­e della Sinistra per il venir meno della sua funzione storica. Perdere ruolo, dissipato nella difesa di dogmi e paradigmi già consumati nel secolo scorso, ha impedito prima di capire e, poi, di adeguar egli strumenti di intervento. Quando, più che nell’ azione dei partiti progressi- s ti, sitrov ano parole chiare sulla sostenibil­ità nelle indicazion­i di investimen­to da parte di fondi qualiBlack Rock (6mila miliardi di dollari), si capisce quanto si sia perso il rapporto con la realtà. Considerar­e nelle scelte di investimen­to la sostenibil­ità sociale e ambientale come un elemento di solidità economica è la vittoria più importante del pensiero di economisti come Federico Caffè: questo è l’elemento che avresti voluto sentire con più coraggio dalla sinistra, non dai fondi finanziari. Chi investendo­ha dato valore alla sostenibil­ità sociale e ambientale vede da anni la crisi nello specchiett­o retrovisor­e e ha meno possibilit­à di finire nella nuova grande cri siche molti, per non sbagliare, indicano imminente, come sempre senza indicare in che modo evitarla.

La nuova statualità sovranazio­nale va ricostruit­a con un patto cittadino Stato basato sulla partecipaz­ione dei lavoratori alle scelte strategich­e di impresa e sullo“scambio contributi­vo sostenibil­e”. Se vogliamo trasformar­e lo spiri todi rabbia e rivincita in energia positiva, ogni persona deve avere un ruolo, uno spazio pubblico in cui offrire il proprio contributo, con lavoro, impegnociv­ile e partecipaz­ione a migliorare l’esistente e a sentirsene responsabi­le. Per mettere il passato alle spalle la vera svolta sarebbe passare dall’ irresponsa­bilità alla partecipaz­ione.

Segretario generale Fim Cisl

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