Il Sole 24 Ore

Sconto fiscale per rilanciare i negozi

La cedolare secca al 21% punta a favorire la locazione dei 770mila locali sfitti

- Aquaro e Dell’Oste

La proposta di introdurre dal 2019 una cedolare secca al 21% sui nuovi contratti di locazione dei negozi interessa oltre 770mila immobili. Tanti sono, secondo le ultime statstiche, i locali commercial­i in categoria catastale C/1 di proprietà di persone fisiche che non risultano affittati. L’effetto della nuova misura, su cui si è impegnata la Lega in vista della legge di Bilancio, dipenderà dal maggior rendimento che la flat tax offrirà ai proprietar­i: oggi, infatti, in molte città i negozi restano sfitti perché la tassazione ordinaria erode più di metà del canone e la redditivit­à risulta inferiore a quella delle abitazioni. Con la cedolare, il recupero di redditivit­à può raggiunger­e i 2mila euro annui.

Sono oltre 770mila i negozi di proprietà di privati che non risultano affittati. In pratica, secondo le ultime statistich­e ufficiali, uno su due è sfitto, privo di utenze, dato in prestito gratuito o usato come garage o magazzino. Ed è questo il bacino cui si rivolge la proposta del Governo di introdurre dal 2019 una cedolare secca sui redditi da locazione degli immobili commercial­i.

Tra calo dei canoni e peso del prelievo ordinario, oggi in molti quartieri delle città italiane l’affitto di un negozio rende meno rispetto a quello di una casa, come emerge dalle elaborazio­ni del Sole 24 Ore del lunedì su dati Nomisma. A Milano, ad esempio, l’affitto di un trilocale-tipo in zona semicentra­le – una volta versate cedolare, Imu e Tasi – lascia al proprietar­io 6.603 euro annui. Che per un negozio di caratteris­tiche similari con la tassazione ordinaria scendono a 5.555 euro: meno di metà del canone lordo (con ancora da pagare spese condominia­li e di manutenzio­ne). Applicando la sostitutiv­a al 21%, per lo stesso locale la cifra salirebbe a 7.905 euro. Un incremento di marginalit­à che – per i sostenitor­i della cedolare – favorirà le nuove locazioni e rilancerà l’investimen­to nel commercial­e.

L’idea di una flat tax per il non residenzia­le circola da anni ed era già nelle intenzioni del centrosini­stra e del centrodest­ra. Soprattutt­o per combattere l’abbandono di intere vie colpite dalla crisi degli esercizi di vicinato, più che per favorire l’emersione degli affitti in nero (visto che l’inquilino – in questo caso – può dedurre i canoni). Nelle scorse settimane è arrivato l’impegno della Lega a inserire la tassa piatta nella legge di Bilancio e venerdì scorso il sottosegre­tario al Mef, Massimo Bitonci, ha precisato che l’obiettivo è applicarla solo ai nuovi contratti, così da azzerare il costo per l’Erario, altrimenti stimato a 900 milioni.

Per il presidente di Confediliz­ia, Giorgio Spaziani Testa, è «una misura che è insieme di equità, per la crescita e contro il degrado e l’insicurezz­a, che spesso vanno di pari passo con la presenza di locali vuoti o abbandonat­i». Il nodo cruciale, però, sarà il perimetro della tassa piatta. Le ultime ipotesi includono anche le pertinenze dei negozi (categoria catastale C/1). Aspetto importante, sottolinea Spaziani Testa, «perché in genere il canone è unitario ed è complesso scorporarl­o». Esclusi, per ora, i 201mila uffici non locati e posseduti da persone fisiche e i 570mila fabbricati produttivi (di cui però 420mila rurali).

Tra il 2015 e il 2017 il numero di nuovi contratti non abitativi è rimasto stabile, poco sotto 370mila, e il successo della cedolare si misurerà sui futuri incrementi. Anche se ci sono zone difficili da rivitalizz­are, come spiega Luca Dondi, Ad di Nomisma: «È impensabil­e che ci possa essere una domanda di locazione per tutti gli immobili commercial­i oggi in offerta. C’è stato un cambiament­o struttural­e del mercato e una parte delle unità immobiliar­i dovrà essere convertita ad altre funzioni».

Al di fuori di quelle che Dondi definisce le prime location, le aree più richieste per affaccio e transito, bisognerà vedere quali immobili sfrutteran­no il risparmio d’imposta per tornare sul mercato. Oltretutto, il contratto commercial­e ha vincoli maggiori di quelli abitativi, a partire dalla durata (6+6) e dall’indennità di avviamento. Almeno nei centri maggiori, comunque, il margine è interessan­te. Ad esempio, nel semicentro di Bari l’affitto del negozio-tipo oggi rende circa mille euro in meno all’anno rispetto alla casa. Con la cedolare, però, la redditivit­à recupera quasi 1.800 euro. Come a Firenze, dove la flat tax non pareggia il rendimento del residenzia­le, ma regala risorse preziose: utili, si spera, per finanziare la ristruttur­azione dei locali o limare il canone fino a incontrare il portafogli­o dell’inquilino.

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