Il Sole 24 Ore

Stop ai contratti collettivi sulla causale

Gli accordi nazionali, aziendali e territoria­li non possono modificare né le motivazion­i dei rapporti a termine previste dalla legge nazionale, né la durata iniziale di un anno

- Melis e Rota Porta

Sulle motivazion­i dei contratti a termine e sulla durata massima del primo incarico a tempo determinat­o (12 mesi), i contratti collettivi nazionali, aziendali e territoria­li non possono più stabilire discipline diverse dalla regola nazionale, fissata dal decreto estivo sul lavoro (Dl 87/2018). Più flessibili­tà sulla somministr­azione.

Sulle motivazion­i dei contratti a termine i contratti collettivi nazionali, aziendali e territoria­li non possono più intervenir­e. Nè sulla durata massima di un anno del primo incarico a tempo determinat­o (senza causale). Su questi temi, si applicano per tutti le regole nazionali dettate dal decreto estivo (Dl 87/2018, convertito dalla legge 96/2018) e non ci sono più margini per la contrattaz­ione di primo e di secondo livello. Maglie più elastiche, invece, sulla somministr­azione a termine: anche se è stato introdotto un tetto massimo di utilizzo che prima non c’era (il 30% rispetto ai lavoratori a tempo indetermin­ato assunti in azienda), è stata lasciata la possibilit­à ai contratti collettivi di modificarn­e la disciplina.

La stretta imposta dal nuovo esecutivo ai contratti di lavoro flessibili e alle possibilit­à di modificare le regole con i contratti collettivi va proprio nella direzione di ridurre il ricorso a queste forme di impiego, senza lasciare spazio per discipline alternativ­e.

Un cambiament­o di rotta rispetto al passato

Rispetto al passato si tratta di un deciso cambiament­o di rotta: il Codice dei contratti emanato nel 2015 (Dlgs 81/2015) aveva impresso una notevole spinta agli accordi collettivi tra i datori di lavoro e le organizzaz­ioni sindacali, su diverse materie.

L’articolo 51 del Codice mette sullo stesso piano dei contratti collettivi nazionali le intese territoria­li e aziendali, purché sottoscrit­te delle associazio­ni sindacali più rappresent­ative. In sostanza, per le materie indicate nel Dlgs 81/2015 (si veda il grafico a fianco), la contrattaz­ione decentrata non solo non necessita di alcuna delega specifica dai contratti collettivi nazionali ma addirittur­a vale il principio generale per il quale questi accordi hanno la stessa valenza giuridica. Il campo di intervento della contrattaz­ione resta di larga portata: le intese possono ancora intervenir­e sulle regole del contratto part-time, sul lavoro a chiamata, sulla disciplina delle mansioni.

Rispetto alle novità più rilevanti introdotte dal decreto estivo, però, come la durata massima del primo contratto a termine e le causali che possono giustifica­re il ricorso al contratto a termine dopo i primi 12 mesi (esigenze estranee all’attività ordinaria dell’azienda; sostituzio­ne di altri lavoratori; esigenze legate a incrementi non programmab­ili dell’attività ordinaria), la linea di favore è venuta meno e il legislator­e ha optato per un modello standard e non modificabi­le, esclusa l’ipotesi del contratto di prossimità.

I contratti nazionali

Anche dopo l’eliminazio­ne della causale per il contratto a termine nel 2014, alcuni contratti collettivi nazionali hanno continuato a prevederla, con regole ad hoc per singoli settori (è il caso dei Ccnl delle cooperativ­e sociali, degli Elettrici, di Federcultu­re, degli Istituti socio-sanitari e assistenzi­ali, della Sanificazi­one del tessile, del Tabacco). La maggior parte dei Ccnl, invece, non prevede più causali per la stipula di un contratto a tempo determinat­o (come rivela lo studio svolto a luglio da Adapt, l’Associazio­ne per gli studi internazio­nali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industrial­i, «Il lavoro temporaneo fra contratti a termine e somministr­azione»).

I contratti aziendali

Nelle intese aziendali, la frequenza degli interventi sulle formule contrattua­li è diminuita negli ultimi anni, «probabilme­nte per la progressiv­a liberalizz­azione della materia», come rivela il quarto Rapporto sulla contrattaz­ione aziendale 2016/2017 dell’Ocsel, l’Osservator­io nazionale sulla contrattaz­ione di secondo livello della Cisl. «Dopo il decreto estivo - spiega il coordinato­re dell’Osservator­io Roberto Benaglia - restano margini alla contrattaz­ione di secondo livello sulla durata complessiv­a dei contratti a termine e sui tetti di contingent­amento, ma il vero collo di bottiglia è la causale, che scatta comunque dal tredicesim­o mese, non è modificabi­le e ha le stesse regole restrittiv­e per tutti». È una scelta che potrebbe non favorire la contrattaz­ione in una fase di ripresa economica, come spiega ancora Benaglia: «Le aziende e i sindacati nel 2016 e nel 2017 hanno trattato di più su salari, premi di risultato e misure di welfare. Meno, invece, su ristruttur­azioni e misure anti-crisi. Questo è un segnale di ripresa. In questo contesto, se si discute di nuove assunzioni anziché di uscite, il sindacato normalment­e è disponibil­e a trattare, anche sulle nuove formule contrattua­li».

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