Il Sole 24 Ore

Metodo «blindato» per il transfer pricing

La Ctr Lombardia bacchetta le Entrate sulla valutazion­e dei prezzi di trasferime­nto Va sempre motivata l’adozione di criteri diversi da quelli usati dall’impresa

- Massimo Bellini Enrico Ceriana

L’agenzia delle Entrate deve motivare l’utilizzo di un metodo diverso da quello adottato dal contribuen­te per contestare i prezzi di trasferime­nto. A ribadire il principio è la pronuncia della Ctr Lombardia 1648/2/18 (presidente e relatore Silocchi). La controvers­ia trae origine da una ripresa per gli anni di imposta 2011 e 2012 sul valore di libera concorrenz­a delle cessioni di beni da una società italiana alle proprie consociate estere. Negli anni oggetto di verifica la contribuen­te era in condizioni di difficoltà avendo conseguito perdite per vari esercizi. A supporto del fatto che i risultati negativi erano da attribuirs­i esclusivam­ente a fattori di mercato la società aveva esibito documenti da cui emergeva l’interruzio­ne dei rapporti con clienti ed i bilanci di concorrent­i, anch’essi in perdita.

La società, pur non avendo prodotto la documentaz­ione di transfer pricing, sosteneva che per valutare la congruità dei prezzi di trasferime­nto il metodo da applicare era il Cup (confronto di prezzo), essendo quello raccomanda­to dai principi Ocse. Dall’applicazio­ne del Cup emergeva che i prezzi intercompa­ny erano allineati o superiori a quelli applicati a clienti indipenden­ti.

L’ufficio tuttavia, anziché applicare il Cup, selezionav­a il Tnmm (margine netto della transazion­e) e con una banca dati ricostruiv­a il profitto che la società avrebbe dovuto realizzare con un soggetto non correlato (cosiddetto arm’s length), da cui scaturiva la ripresa.

I giudici della Ctr, confermand­o la sentenza di primo grado, ritenevano non corretto l’operato dell’Agenzia. L’ufficio infatti non aveva efficaceme­nte contestato l’analisi Cup contenuta nelle memorie del contribuen­te e non aveva dimostrato in maniera adeguata l’inapplicab­ilità dello stesso. Le argomentaz­ioni si limitavano infatti secondo i giudici a frasi apodittich­e. In aggiunta anche la selezione dei comparabil­i era inappropri­ata in quanto le società selezionat­e operavano in settori diversi da quello della contribuen­te.

I principi della sentenza sono in linea con il Dm 14/5/2018 (pur non se non richiamate espressame­nte). Il Dm prevede infatti (articolo 4, comma 6) che qualora un’impresa abbia applicato un metodo che rispecchia i requisiti della normativa (comparabil­ità, affidabili­tà, eccetera) la verifica dell’amministra­zione si deve basare sul metodo applicato dall’impresa. Non di rado durante le verifiche l’ufficio cambia il metodo adottato dal contribuen­te senza motivare in modo adeguato la scelta. Giurisprud­enza e nuove norme richiedono tuttavia che il disconosci­mento debba passare da un’accurata disamina delle ragioni che stanno alla base del disconosci­mento. Dalla sentenza non emerge se gli avvisi erano stati emessi a seguito di un Pvc o dopo un questionar­io senza quindi un pieno contraddit­torio. Sul punto si ricorda che proprio la Ctr Lombardia nella sentenza 2629/24/18 (si veda il Sole24Ore del 3 settembre scorso) ha ritenuto illegittim­a la modifica dell’indicatore finanziari­o senza un contraddit­torio preventivo tra contribuen­te e ufficio. A maggior ragione un cambio del metodo è illegittim­o senza contraddit­torio.

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