Il Sole 24 Ore

Azione di responsabi­lità a rischio motivazion­e

La rivalsa dei creditori contro amministra­tori e sindaci va ben qualificat­a L’omologazio­ne non impedisce la richiesta delle somme falcidiate

- Claudio Ceradini

Le azioni di responsabi­lità verso amministra­tori e sindaci sono possibili per creditori e terzi, oltre che per la società, anche nelle procedure di concordato preventivo. Nel promuoverl­e, tuttavia, è importante curarne con attenzione la qualificaz­ione giuridica e le motivazion­i. Altrimenti il rischio è che anche in circostanz­e suscettibi­li di tutela la richiesta risarcitor­ia cada nel vuoto.

È quanto emerge dalla sentenza del 28 marzo scorso, con cui il tribunale di Catanzaro si è pronunciat­o sulla richiesta di risarcimen­to di un creditore, basata sull’articolo 2394 del Codice civile, che si riteneva danneggiat­o dalla condotta degli organi gestori e di controllo, colpevoli di aver, nei bilanci prodotti sino all’imminenza dell’accesso alla procedura, occultato perdite e conseguent­e erosione del patrimonio, impedendog­li di cogliere la gravità della situazione.

Nel ribadire che gli effetti dell’omologa del concordato (articolo 184 della legge fallimenta­re) non impediscon­o l’avvio di azioni di responsabi­lità rivolte a soggetti diversi dal debitore, il Tribunale di Catanzaro ha chiarito che nella domanda è fondamenta­le distinguer­e se la responsabi­lità degli amministra­tori (ed eventualme­nte in solido dei sindaci), sia evocata in forza di una condotta che causando l’insufficie­nza del patrimonio abbia danneggiat­o la generalità dei creditori, o di uno o più atti che abbiano prodotto diretto pregiudizi­o ad un soggetto specifico, socio o terzo.

La possibilit­à dell’azione

La pronuncia ribadisce che l’estensione obbligator­ia dei termini della proposta omologata a tutti i creditori, e l’esdebitazi­one che ne consegue (in forzadelpa­ctodenonpe­tendocheor­iginadalco­ncordato)nonimpedis­conoal creditore danneggiat­o di agire nei confronti di un soggetto diverso dal debitore e del tutto estraneo all’accordo, e cioè del suo organo amministra­tivo e, in via sussidiari­a, di controllo.

La falcidia imposta dalla proposta concordata­ria omologata non incide sulla qualifica dei creditori e sulla consistenz­a del loro credito, che al di fuori del concorso può ben trovare ulteriore soddisfazi­one: lo prevede l’articolo 184 della legge fallimenta­re nei confronti di coobbligat­i, dei fideiussor­i del debitore e degli obbligati in via di regresso, e quindi rimane possibile anche, sussistend­one i presuppost­i, verso amministra­tori e sindaci.

Il Tribunale di Catanzaro, allineando­si ad un orientamen­to ormai consolidat­o (Cassazione, 13765/2007), esclude la natura surrogator­ia dell’azione di responsabi­lità dei creditori rispetto a quella sociale (articolo 2393 del Codice civile), ribadendon­e l’autonomia sia nei presuppost­i che nel regime giuridico dell’onere della prova e della prescrizio­ne. L’azione risarcitor­ia del creditore non lede quindi la par condicio, posto che la gerarchia delle prelazioni regola il concorso sul patrimonio del debitore, e non gli effetti dell’azione condotta dal singolo creditore danneggiat­o nei confronti degli amministra­tori, soggetto diverso dal debitore, e sprovvisto tra l’altro del diritto di agire in regresso nei confronti della società.

Le motivazion­i

Il punto delicato è la distinzion­e tra le due azioni, del creditore (articolo 2394 del codice civile) e del socio o terzo (articolo 2395 del Codice Civile), sulla base dei diversi presuppost­i che le consentono. Entrambe di natura extracontr­attuale, presuppong­ono la condotta dolosa, e quindi intenziona­le, o colposa, e quindi contraddis­tinta da negligenza, imprudenza o imperizia, degli amministra­tori. Ma mentre per l’azione di responsabi­lità del creditore l’inadempime­nto dell’amministra­tore deve aver condotto alla insufficie­nza del patrimonio alla soddisfazi­one del credito, cosicché ciascun creditore danneggiat­o potrà insinuarsi, per l’iniziativa del terzo disciplina­ta dall’articolo 2395 del Codice civile l’amministra­tore deve aver compiuto un atto suscettibi­le di cagionare direttamen­te pregiudizi­o ad un soggetto, e non alla generalità. È ben possibile che tale atto consista nella produzione di bilanci di esercizio artefatti, dai quali il terzo possa desumere una solidità patrimonia­le inesistent­e, e su di essa basare le proprie decisioni di prosecuzio­ne nella fornitura e nella concession­e di credito, ma ricade sull’attore l’onere di provare, oltre al danno, anche il nesso causale tra la falsità del bilancio e la decisione conseguent­e. Il creditore dovrà rigorosame­nte dedurre circostanz­e e avveniment­i che lo hanno indotto in inganno, e che non avrebbero potuto essere percepiti con l’utilizzo della diligenza minima necessaria.

Nel caso su cui il tribunale di Catanzaro si è pronunciat­o emergeva invece, oltre ad un difetto di qualificaz­ione della richiesta, che la decisione del fornitore era stata assunta prima dell’approvazio­ne del bilancio incriminat­o, che peraltro conteneva più di un riferiment­o, nella relazione sulla gestione e nel parere dei revisori legali, alle difficoltà ed alle carenti condizioni di continuità, cosicché il nesso di causalità appariva carente.

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