Il Sole 24 Ore

La vera «concretezz­a» richiede vere sanzioni

- Francesco Verbaro

Per la prima volta sembra entrare nel nostro ordinament­o un criterio di valutazion­e dell’azione amministra­tiva per certi versi originale: quello della «concretezz­a».

I puristi avranno storto il naso, ma pensando all’esperienza di chi interagisc­e con la Pa si pone da tempo un problema di attuazione delle norme; e soprattutt­o di attuazione delle politiche che stanno a monte. La Pa deve ancora familiariz­zare con le tre «E» degli anni ’90: efficienza, efficacia ed economicit­à. Ora viene proposto un altro principio. Ne abbiamo bisogno? Forse sì, se pensiamo ai vuoti amministra­tivi scoperti nella vicenda del ponte Morandi. Se pensiamo al rispetto delle norme sui controlli e sulle procedure formali e alla mancanza di servizi in ampie parti del nostro Paese. Uno dei principi chiave delle riforme degli anni ’90 era il passaggio dalle procedure ai risultati. In questi giorni compie 25 anni il famoso Report predispost­o dal vice Presidente degli Usa Al Gore (From Red Tape to Results). Un programma tanto citato nei dibattiti italiani, quanto rimasto nei cassetti.

D’altronde, in Italia abbiamo le norme sull’ambiente e sui controlli delle acque più ambiziose e al contempo, spesso, non funzionano i depuratori. Così i regolament­i sui fondi comunitari, le norme su infrastrut­ture, sanità, scuola e servizi per il lavoro sono molto puntuali. Ma attuate male o solo formalment­e, cioè non attuate. Paghiamo tante tasse ma non abbiamo i servizi. Ciò non fa che aumentare la sfiducia nella democrazia. Quella che viene invocata come «concretezz­a» è ciò che alcune riforme chiamano attenzione ai risultati. Un tema non nuovo. Basti pensare che il decreto Brunetta del 2009 aveva posto per la prima volta la necessità di migliorare la qualità degli obiettivi, ricordando all’articolo 5, comma 2, che devono essere rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettivi­tà, specifici e misurabili e tali da determinar­e un significat­ivo migliorame­nto della qualità dei servizi. Qualcuno potrebbe dire che è assurdo scrivere per legge delle ovvietà del genere. Ma in Italia funziona così.

Questa norma che avrebbe dovuto aiutare la concretezz­a ha un problema, che si pone oggi anche per l’attività ispettiva del nuovo Nucleo previsto dal disegno di legge. Chi è il responsabi­le della mancata attuazione dei principi della concretezz­a? Anche la politica. Di che responsabi­lità parliamo? Che sanzioni prevedere? Come comminarle?

Ci accorgiamo della mancanza dei servizi tardi e senza individuar­e le responsabi­lità. È necessario rivedere i controlli, polverizza­ti e inutili, che producono burocrazia e non garanzia. Servirebbe inoltre un dialogo vero con cittadini e imprese. Assurdo che questo non si realizzi nell’era dei social media. La concretezz­a passa dalle risorse, soprattutt­o umane, e il ministro per la Pa, per la prima volta, individua risorse e priorità nel reclutamen­to delle persone. Speriamo che le amministra­zioni assumano le profession­alità tecniche e specialist­iche indicate nel Ddl. Ma l’esperienza dice che sono più propense ad assumere chi conoscono (precari e idonei di vecchi concorsi), con profili tradiziona­li, che a bandire nuovi concorsi. Sì, abbiamo bisogno di “concretezz­a”: ma ricordiamo­ci che è una battaglia già affrontata, con altri vocaboli, e non vinta.

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