Sanzioni Iran, asse Ue-Cina per proteggere le imprese
In preparazione un veicolo ad hoc per agevolare le transazioni commerciali L’Italia rischia di vedere andare in fumo accordi per 27 miliardi di euro
All’Onu Trump torna ad attaccare l’Iran lanciando un appello per isolare il Paese. Ma la Ue è ferma nel tenere in vita l’accordo sul nucleare. E Mogherini annuncia che i Ventotto studiano un sistema che permetta alle imprese europee «di facilitare le transazioni legittime con l’Iran».
Tutto secondo copione. Inclusi i toni bellicosi. Nel suo atteso discorso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite,il presidente americano Donald Trump è tornato ad attaccare l’Iran, definendo la leadership iraniana «una dittatura corrotta» e bollando come «orribile» – non è una novità l’accordo sul nucleare iraniano raggiunto nell’estate del 2015 tra Teheran ed il gruppo 5+1. Trump ha poi ribadito con fermezza l’invito a tutti i Paesi ad isolare l’Iran. Un appello implicito ad adeguarsi alle sanzioni americane il cui secondo round – quello più pesante (include anche un embargo petrolifero) – entrerà in vigore il 4 novembre.
Ma la situazione è ben diversa rispetto al 2012, quando il 1° di luglio entrò in vigore l’embargo petrolifero europeo. Una misura che contribuì a far precipitare le esportazioni iraniane di greggio, crollate del 60% due anni dopo. Bruxelles è determinata a tenere in vita l’accordo sul nucleare. Ed è pronta ad aprire un nuovo e duro confronto con Trump. Il dossier iraniano è solo l’ultimo tassello di un solco diplomatico che è andato approfondendosi con il passare dei mesi.
Nel tentativo di aggirare l’impatto extraterritoriale delle sanzioni decise dagli Stati Uniti contro l’Iran, accusata da Trump di non rispettare l’accordo sul nucleare, l’Alta Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha annunciato da New York che i Ventotto stanno studiando l’idea di creare uno speciale veicolo giuridico che permetta alle imprese europee «di facilitare le transazioni legittime con l’Iran».
Molte le ipotesi sul tavolo, alcune particolarmente complesse da un punto di vista giuridico. Secondo alcuni diplomatici, una di queste prevede che il veicolo sia nei fatti una camera di compensazione, chiamata a verificare che il valore dei beni importati e di quelli esportati sia simile. Nel caso per esempio l’Iran vendesse petrolio alla Spagna e l’Italia delle macchine utensili a Teheran, la somma corrispondente alla vendita di petrolio sarebbe usata per pagare il fornitore italiano. Indirettamente il meccanismo potrebbe rilanciare il ruolo internazionale dell’euro. Il portavoce della Commissione europea Carlos Martin Ruiz de Gordejuela ha spiegato che un gruppo di lavoro tecnico dovrà ora studiare «i dettagli della soluzione» nelle prossime settimane.
Non sarà facile. Le prossime misure americane contro l’Iran, che hanno un impatto extra-territoriale, hanno indotto alcune grandi imprese europee a lasciare il paese. In questo senso, la signora Mogherini ha spiegato che il nuovo meccanismo ha l’obiettivo «di rassicurare gli attori economici».
Da quando gli Stati Uniti hanno deciso di sanzionare l’Iran, l’Unione è in difficoltà nel salvaguardare i legami commerciali con Teheran, precondizione per evitare che l’intesa del 2015 sia votata al fallimento. L’idea di chiedere alla Banca europea per gli investimenti (BEI) di aiutare le imprese in Iran è stata bocciata dalla stessa istituzione comunitaria per paura di ritorsioni americane. Questa estate è stata però aggiornata una vecchia regola del 1996 che permetterà alle imprese europee vittime di sanzioni extraterritoriali di ottenere risarcimenti.
Non sono solo i Paesi europei ad osteggiare le sanzioni americane. Vi è anche una nutrita lista di Paesi (quasi tutti grandi acquirenti di greggio iraniano) che è contraria.Tra cui Cina, Russia e Turchia. Anche l’India ha fatto sapere che potrebbe non rispettarle. Approfittando di questa “condivisione”, i rappresentanti di Francia, Regno Unito, Cina, Russia, Germania e Iran (il gruppo 5+1 senza gli Usa) si sono riuniti ieri a margine delle riunione Onu per mettere a punto il meccanismo di compensazione. Ma non sarà facile.
Il pericolo di un probabile ridimensionamento dell’export iraniano, oltre alla sensazione che l’Opec non intenda per ora colmare il gap, ha innescato un altro rialzo sui mercati internazionali del greggio. La qualità Brent durante gli scambi ha toccato quota 82,55 dollari al barile, il massimo dal novembre 2014 per poi arretrare.
Le grandi compagnie europee si stanno tutte ritirando dal mercato iraniano, dove dal 2016 avevano firmato grandi accordi, per quanto provvisori. La scure delle sanzioni Usa sembra un argomento convincente. Solo per citarne qualcuna, le tedesche Siemens e Allianz stanno chiudendo le operazioni. Le francesi Total e Peugeot hanno riferito di voler abbandonare i progetti che avevano in serbo. Anche il conglomerato navale danese Moller-Maersk si è ritirata. Ma è l’Italia, divenuta nel 2017 primo partner commerciale dell’Iran con un interscambio di 5,1 miliardi di dollari, il Paese che rischia di pagare il conto più salato. Tra protocolli d’investimento sottoscritti da grandi imprese italiane (un potenziale di investimenti, nei prossimi anni, di 27 miliardi) e 2 miliardi di export, il rischio, reale, è di veder evaporare 30 miliardi di euro di business.