Il Sole 24 Ore

IL TEMPO È SCADUTO, SUBITO SOLUZIONI RAZIONALI

- Di Giorgio Santilli

Doveva essere una risposta chiara, veloce, esemplare che Genova chiedeva, e con lei l’Italia intera. Una risposta per evitare danni gravissimi al tessuto economico e sociale della città. Il decreto legge per Genova - a 45 giorni dal crollo di Ponte Morandi e a 12 giorni dall’approvazio­ne in Consiglio dei ministri - è diventato invece uno spettacolo di liti continue e norme avventate destinate a durare poche ore per essere riscritte.

Aquesto brutto copione non si sottrae la giornata di ieri che ha messo in scena il braccio di ferro fra la Ragioneria generale dello Stato e i ministeri competenti. Un braccio di ferro - va detto - che è il frutto (oltre che l’ultimo atto) di un iter incerto e di un impianto legislativ­o traballant­e fin dai primi minuti. Non a caso ieri il governator­e della Liguria, Giovanni Toti, lamentava le nuove pesanti modifiche al testo rispetto agli accordi presi con il premier poco più di una settimana fa.

All’origine di questo cammino accidentat­o non c’è solo la divisione politica, più volta emersa, fra i due partner della maggioranz­a e fra governo centrale e autorità locali. C’è piuttosto il fatto che si sono volute piegare a un disegno politico le norme da scrivere senza tener conto dei tempi, delle soluzioni realistich­e, percorribi­li, coerenti con l’ordinament­o costituzio­nale e amministra­tivo. Non è detto, per altro, che queste difficoltà non si riproponga­no nell’esame che da oggi dovrebbe fare del decreto il Quirinale.

Nel decreto sull’emergenza sono venuti a confluire obiettivi - come la revoca della concession­e ad Autostrade e la nazionaliz­zazione - che certamente sono legittimi per una forza politica - tanto più dopo una tragedia di questo tipo - ma che meglio sarebbero stati affrontati in un disegno di più lungo periodo e nel rispetto di norme e contratti. L’iter avviato all’unanimità dal governo di revoca della concession­e ad Aspi è corretto e deve però fare un suo percorso che non potrà ignorare passaggi formali, contraddit­tori e tempi non strettissi­mi. Perché è doveroso accertare tutte le responsabi­lità e agire di conseguenz­a ma nel rispetto dello Stato di diritto. L’emergenza aveva bisogno di risposte diverse, realistich­e e concrete, come più volte hanno detto lo stesso Toti o il sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti.

Si sarebbe dovuto chiedere ad Autostrade di rispondere agli obblighi previsti dalla convenzion­e e di ripristina­re le opere pagandone il conto. E si sarebbe potuto fare spazio a un consorzio di garanzia nella realizzazi­one.

Invece stando ancora alle ultime bozze in circolazio­ne si è preferito lo strappo di esautorare Autostrade da tutti i ruoli con l’eccezione di quella di pagatore, ipotizzand­o una decadenza surrettizi­a della concession­e che non potrà non suscitare una reazione nelle Aule dei tribunali (se sarà confermata). Si sono tirate in ballo dal primo momento aziende pubbliche che non avevano neanche i requisiti per costruire il Ponte. Si è ipotizzata una nazionaliz­zazione che non è chiaro con quali soggetti si potrebbe fare. Si è decisa la strada di affidare a trattativa diretta l’appalto rischiando di incappare nei rilievi della Ue e dell’Anac salvo poi introdurre una gara informale. L’impianto era incerto e si attende di vedere il testo finale per capire se gli errori più gravi sono stati corretti.

Nei momenti delle difficoltà e dell’emergenza, un popolo deve saper restare unito e chi governa deve cercare soluzioni che producano il massimo di convergenz­a. Uno spirito di ricostruzi­one e di intesa che nulla toglie al fatto che chi ha sbagliato paghi. Nelle emergenze il «fattore tempo» è molto più rilevante delle rese dei conti e dei sondaggi. Lo si deve anzitutto alle vittime della tragedia e a una città che rischia di soffocare sotto quelle macerie.

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