«Da Autostrade controlli inadeguati sul ponte»
«Crollo dovuto alla struttura più che agli stralli». Aspi: «Test accurati, no allarmi»
Procedure di controllo strutturale inadeguate, documenti sulla valutazioni della sicurezza di cui non ci sarebbe traccia, investimenti per lavori ridotti all’osso e verifiche sul progetto di restauro affidate a una società priva dei requisiti previsti dalla legge. La relazione della Commissione ispettiva ministeriale sul crollo del viadotto Polcevera di Genova - lo scorso 14 agosto costato la vita a 43 persone - è l’atto d’accusa del ministero delle Infrastrutture contro Autostrade per l’Italia spa. In 225 pagine sono elencate quelle che - secondo la commissione - sono le gravi lacune nella gestione della rete autostradale.
Il documento, voluto dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, è stato acquisito dalla Procura della Repubblica di Genova, che intende chiarire le responsabilità del disastro. Si è trattato di un «evento prevedibile»? Un quesito al quale gli inquirenti intendono dare risposta anche attraverso l’incidente probatorio iniziato ieri, e che potrebbe trovare una risposta nella relazione dei commissari.
La relazione chiarisce che «la procedura di controllo della sicurezza strutturale delle opere documentata da Aspi» risulterebbe «inadatta al fine di prevenire i crolli». Una procedura, dunque, che «era applicata al viadotto Polcevera ed è ancora applicata all’intera rete di opere di Aspi». Non solo: secondo l’Opcm 3274/2003 Aspi «era tenuta, entro il marzo 2013, ad effettuare le valutazioni di sicurezza del viadotto Polcevera». Tuttavia, scrive la commissione, «tale valutazione non è, alla data di consegna della presente relazione, stata effettuata». In sostanza, le «misure adottate da Aspi ai fini della sua prevenzione erano inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema» del ponte Morandi. La società, dunque, «pur a conoscenza di un accentuato degrado del viadotto (...) non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela dell’utenza».
Un aspetto di non poco conto riguarda gli investimenti. Stando ai dati, risulta che dal 1982 a oggi l’importo per lavori strutturali del ponte sono stati pari a 24 milioni 610mila 500 euro. Colpisce che il 98% di questa somma è stata spesa prima del 1999 (anno della privatizzazione della rete autostradale). Da quell’anno in poi Aspi ha investito sul ponte Morandi il 2% delle somme complessive. Nel dettaglio, in 19 anni - dal 1999 ad agosto 2018 (periodo del crollo del viadotto) - sono stati spesi 23mila euro annui, per un totale di 470mila euro.
Di interesse all’inchiesta penale c’è tutta l’analisi sui lavori di retrofitting, un appalto da 20 milioni 159mila 244 euro per la messa in sicurezza del ponte. Per la commissione l’analisi del progetto è stata fatta da una società di verifica priva dei requisiti di legge. «Giova evidenziare - si legge il percorso seguito dal progetto per la sua validazione e verifica che, in relazione all’importo dei lavori a base d’asta, avrebbe dovuto essere eseguita da un organismo di controllo accreditato», tuttavia «ciò dagli atti non risulta». Nel rapporto di verifica del progetto, infatti, sono integralmente recepite, senza alcuna analisi critica, tutte le indicazioni del Rup (Responsabile unico procedimento), compresi gli aspetti legati agli interventi di ripristino e rinforzo delle pile 9 e 10, quelle rovinosamente crollate.
Aspi ha replicato, evidenziando che «la relazione non tiene in alcun conto gli elementi di chiarimento forniti dai tecnici della concessionaria (Aspi, ndr)». Aggiunge che «le responsabilità ipotizzate dalla commissione non possono che ritenersi delle mere ipotesi ancora integralmente da verificare e da dimostrare». Qualcosa ce l’hanno da dire anche sul fronte degli investimenti: spiegano di aver «speso circa 9 milioni di euro negli ultimi tre anni e mezzo per aumentare la sicurezza del ponte e che nel periodo 2015-2018 sono stati realizzati sul ponte ben 926 giorni-cantiere, pari ad una media settimanale di cinque giorni-cantiere su sette».