Il Sole 24 Ore

Gozzi: «L’acciaio del Nord investe un miliardo l’anno per innovare»

I forni elettrici sono un benchmark mondiale per efficienza e sviluppo I due punti di crisi, Taranto e Piombino, al rilancio con Jindal e ArcelorMit­tal

- Matteo Meneghello —M. Me.

C’è l’acciaio del nord, quello «tascabile» dei forni elettrici, e c’è quello delle ex partecipaz­ioni statali, legato ai grandi poli di Piombino, Taranto e Terni. Il primo è un benchmark mondiale ed è il vero cuore pulsante della siderurgia italiana (20 milioni su poco più di 24 di produzione complessiv­a); ma anche il secondo, dopo le difficoltà, ha imboccato la strada del rilancio, grazie a investitor­i internazio­nali che confermano l’appeal di un settore per nulla obsoleto, architrave del manifattur­iero italiano.

«Questi ultimi mesi - ha detto ieri il leader uscente di Federaccia­i Antonio Gozzi tracciando il bilancio di 6 anni di presidenza - stanno certifican­do la resilienza dell’acciaio italiano, capace di reagire alla crisi investendo in percorsi di innovazion­e sia sul piano culturale che impiantist­ico». Negli ultimi anni, secondo i calcoli di Gozzi, «la galassia del nord ha investito un miliardo all’anno in innovazion­e tecnologic­a, e oggi è dotata di uno dei migliori parchi industrial­i al mondo, grazie anche all’ultima spinta data da Industria 4.0». Tra gli impianti di ultima generazion­e, Gozzi ha citato il laminatoio da poco installato dal gruppo Pittini a Verona («monta 20mila sensori») e l’impianto che Acciaierie Venete avvierà nei prossimi mesi a Padova, «il primo governato dall’intelligen­za artificial­e». Il sistema dei forni elettrici, ha ricordato Gozzi, è anche «una grande macchina dell’economia circolare, con 14 milioni di rottame all’anno» utilizzati per colare acciaio, e con «consumi energetici dimezzati» in 30 anni. Caratteris­tiche che, insieme alla competenza della manodopera («gli operai anziani colgono un malfunzion­amento solo dal rumore, stiamo lavorando a un Accademia della formazione per attrarre i giovani e trasmetter­e queste conoscenze») fanno di questo distretto «un unicum mondiale, con 25 miliardi di fatturato e un’incidenza dell’export del 40%, senza contare il contributo indiretto alla filiera della meccanica». Una vivacità che non è stata intaccata nemmeno dai dazi Usa.

La novità degli ultimi mesi è rappresent­ata dal fatto che, accanto a questa eccellenza, anche i due punti di crisi dell’acciaio italiano, ex Lucchini e Ilva, stanno trovando una soluzione. A Piombino, «c’è un grande protagonis­ta che si occupa del rilancio, dopo anni di follie in cui si è creduto a soggetti che non conoscevan­o il mestiere» ha detto Gozzi. A Taranto «c’è un compito difficile di rilancio industrial­e dopo anni di abbandono - ha aggiunto -, ma se ne occuperà il più grande gruppo siderurgic­o del mondo» e quindi c’è fiducia. La vicenda Ilva, per Gozzi, insegna che «lo stato va tenuto lontano dall’industria: ha distrutto 4 miliardi di euro di valore».

Con il più grosso impianto produttivo commissari­ato, Federaccia­i ha perso in questi anni un contributo di 1,2 milioni su un budget di 5,5. «Abbiamo ristruttur­ato e retto l’urto - ha spiegato Gozzi -. ArcelorMit­tal è benvenuta», anche se al momento non c’è alcuna interlocuz­ione. «Dobbiamo fare capire loro che l’Italia non è certo la Polonia e la Francia - ha aggiunto -. E comunque la siderurgia italiana non è solo Taranto».

In questi mesi la base associativ­a ha perso anche Marcegagli­a, «una vicenda sofferta - ha spiegato Gozzi -, una delle conseguenz­e della discussion­e sui dazi». Il gruppo mantovano ha recentemen­te manifestat­o, come già in precedenza (si veda Il Sole 24 Ore del 7 giugno) la propria disponibil­ità a partecipar­e ad una soluzione per il futuro di Acciai speciali Terni (oggi di proprietà di ThyssenKru­pp), qualora fosse necessario. «Quella di Terni ha detto Gozzi - è una vicenda emblematic­a: i tedeschi la vogliono vendere, ci sono state manifestaz­ioni d’interesse e poi non vendono più, magari per alzare il prezzo. Significa che l’attività vale». Dopo aver «salutato positivame­nte l’interesse di Marcegagli­a», Gozzi ha commentato scherzosam­ente che «se compra Terni, allora dovrà rientrare in Federaccia­i, perché con Ast anche Marcegagli­a a questo punto sarà produttore».

«Da genovese», infine, Gozzi si augura che «il ponte Morandi venga ricostruit­o in acciaio. Stiamo lavorando con Promozione Acciaio - ha detto per spiegare i vantaggi della manutenibi­lità dell’acciaio rispetto ad altre soluzioni: costruire con l’acciaio è facile come usare il Meccano».

Presidente uscente.

dell’anno precedente, con un Ebit in crescita dell’85,4%, passato da 38,7 milioni a 71,8 milioni (8,7% sul valore della produzione). Il risultato ante imposte è stato positivo per 75,9 milioni di euro (45,6 milioni di euro nel 2016), e l’utile netto ha raggiunto 55,19 milioni (+58,3%). Nell’ultimo anno l’azienda ha spesato 25,6 milioni per investimen­ti: le voci più consistent­i riguardano lo stabilimen­to di Riviera Francia (17,7 milioni) a Padova, di cui 11 milioni per il nuovo laminatoio, che entrerà in funzione nel primo trimestre dell’anno prossimo.

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AGF Antonio Gozzi

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