«Altro che fuga dall’Italia, creeremo più lavoro qui»
«Versace: the resurrection. Donatella’s heavenly vision». Non c’è traccia del (presunto) understatement britannico nel titolo scelto da 1843 – il magazine patinato dell’Economist – per il numero uscito prima dell’estate. Sotto una bella foto di Donatella Versace, di profilo si leggeva appunto: «La resurrezione di Versace. Come Donatella immagina il paradiso».
Oggi quella copertina e la lunga intervista fatta a Milano alla stilista daLuk eL eitchsembr ano profetiche: l’ orizzonte professionale e di vita di Donatella e della sua famiglia sono estremamente positivi, se non proprio paradisiaci. Grazie alla vendita a Michael Kors per una cifra quasi doppia rispetto a quella offerta nei mesi scorsi, si dice, dal colosso francese Kering; alla prospettiva di restare azionista della “nuova Versace” e, forse ancora più importante, all’idea che Donatella resti direttore creativo della maison fondata dai suio fratelli Gianni e Santo nel 1978.
C’è chi ha reagito all’annuncio della vendita a Michael Kors dicendo che perdiamo un pezzo di made in Italy. Cosa risponde?
Non la vedo così. Anzi: non è così. L’interesse del gruppo americano e prima di quelli francesi e, naturalmente, l’operazione del 2014 con il fondo Blackstone, dimostrano prima di tutto quanto il made in Italy sia appetibile per investitori internazionali. Ovvero, letteralmente, quanto interessi ciò che è fatto e pensato in Italia. L’operazione è stata possibile proprio perché la produzione e lo stile sono radicati qui e gli ambiziosi piani di crescita si basano sul presupposto che Versace resti un simbolo della creatività e dello stile di vita italiano e che ogni cosa continui a essere prodotta qui, con il know how artigianale di sempre.
Le ambizioni della neonata Capri Holdings sono di raddoppiare il fatturato in pochi anni. L’attuale capacità produttiva non basterà.
Appunto: il ceo della società ha escluso altre acquisizioni di marchi, ma ha detto chiaramente che nei prossimi 24 mesi verranno individuate e comprate strutture produttive in Italia. Per tornare alla domanda iniziale: creeremo nuovi posti di lavoro e saremo ancora di più volano dello sviluppo economico dei territori dove siamo presenti, oltre che ambasciatori del made in Italy nel mondo, come è sempre stato.
Ha suggerito lei il nome Capri Holdings?
Vorrei poter rispondere di sì, perché mi piace moltissimo. Ma l’ha scelto John Idol, ceo di Michael Kors e ora di Capri Holdings. È una persona e un manager che conosce e ama profondamente il nostro Paese e ha un’altissima opinione della capacità manifatturiera e artigianale dei nostri distretti. La prima linea del brand Michael Kors è tutta fatta in Italia da sempre e il 95% delle calzature Jimmy Choo, marchio acquisito lo scorso anno, è made in Italy.
Nei piani di John Idol e del ceo di Versace Jonathan Akeroyd, che insieme a lei, dal 2016, guida la maison, c’è lo sviluppo dell’e-commerce. Cosa ne pensa?
Sono entusiasta. Quando ho saputo che Michael Kors ha investito 100 milioni di dollari in una piattaforma che potrà ospitare anche Versace ho cominciato a pensare alle incredibili sinergie che potremo pensare con il retail tradizionale e con i social network.
Lei non è nativa digitale né Millennial. Ma ha 3,5 milioni di follower su Instagram e ha abbracciato la comunicazione digitale con ammirevole slancio. E il futuro?
Posso dirle che, per carattere, amo tutto ciò che è nuovo. La mia più grande soddisfazione è sapere quanto successo abbia il brand tra i giovani. Quanto ai social network, i miei figli sono Millennial e imparo molto parlando con loro e osservandoli. A parte questo, è vero: ho trovato in Instagram un modo assai consono alla mia personalità per comunicare emozioni e pensieri. È una grande opportunità, mi sento fortunata di vivere questa rivoluzione digitale, non mi fa paura.
«Non ho scelto io il nome Capri ma ne sono entusiasta. Lo stesso vale per la possibilità di far crescere l’e-commerce»