Il Sole 24 Ore

Profumo: «Leonardo protegge 29 Paesi Nato»

- Antonio Larizza

Ogni ora, il Centro operativo per la cybersicur­ezza di Leonardo che sorge a Chieti rileva 110 milioni di eventi di sicurezza. Gli incidenti di sicurezza catalogati come «sofisticat­i» gestiti ogni anno sono 20.000. Il dato non deve stupire: Leonardo protegge la sicurezza informatic­a di quasi tutta la Pubblica amministra­zione italiana (Agid, Mef, Mae, Miur) degli enti previdenzi­ali (Inps, Inail, Istat) e di molte PA locali: regioni, autorità portuali, aziende sanitarie. Ma anche infrastrut­ture critiche nazionali, industrie multinazio­nali e, dal 2012, oltre 75 siti in 29 paesi della Nato: vale a dire 70.000 utenze «critiche», per cui fronteggia 200 milioni di eventi di sicurezza al giorno e 3.500 incidenti all’anno. Quello con la Nato è il maggior contratto di cyber security mai aggiudicat­o fuori dai confini degli Stati Uniti.

Il Security operation center (Soc) Leonardo di Chieti utilizza una delle infrastrut­ture di supercalco­lo più grandi al mondo dedicate alla sicurezza informatic­a. Leonardo, che lavora anche con il ministero della Difesa del Regno Unito, è ormai punto di riferiment­o del settore. Oggi e domani l’azienda organizza a Roma «Cybertech Europe 2018»: evento di respiro europeo promosso in collaboraz­ione con Cybertech Global events. Il Sole-24 Ore ha incontrato Alessandro Profumo, amministra­re delegato di Leonardo: l’ex banchiere alla guida dell’ex-Finmeccani­ca, che aprirà oggi la sessione plenaria dei lavori presso il Convention center La Nuvola di Roma, racconta come la sua organizzaz­ione – dopo aver garantito la difesa sui fronti terrestre, aereo, marittimo e spaziale – si è preparata anche per la guerra della “quinta dimensione”, quella cibernetic­a.

Dottor Profumo, quanto è cruenta la guerra della “quinta dimensione”?

Lo dicono i dati: nel 2017, la cybersicur­ezza è costata a imprese e privati di tutto il mondo 500 miliardi di dollari. Cinque volte di più rispetto al 2011.

Ritiene che questo rischio sia correttame­nte percepito tra istituzion­i, cittadini e imprese?

Le istituzion­i hanno fatto molti passi avanti nel comprender­e l’urgenza del problema. E lo stesso le grandi imprese. C’è molto lavoro da fare ancora tra le piccole e le piccolissi­me imprese, che poi sono la maggioranz­a nel nostro tessuto industrial­e, che risulta quindi particolar­mente esposto. Così come molti strati della popolazion­e. Un’asimmetria di percezione che non va sottovalut­ata e va colmata.

Il digitale è così vicino a noi, ne siamo immersi, non ne possiamo fare a meno al punto che facciamo fatica a vederne i pericoli? Dall’esterno non è facile percepire questa nuova minaccia: io stesso arrivando in Leonardo dal mondo della finanza ho mutato, nel tempo, la consapevol­ezza su questi temi.

Il mondo della finanza, e in particolar­e quello bancario, hanno da sempre protetto i loro sistemi sul fronte cybernetic­o. Tra i settori industrial­i, quello bancario è forse il più “preparato”. Che cosa ha imparato in Leonardo su questi temi, che prima non sapeva?

Nel mondo bancario si tende a considerar­e la cybersicur­ezza come un obbligo normativo: ci si protegge prima di tutto per rispettare dei regolament­i e per mettere al sicuro i dati dei clienti. È questa la prima spinta per questo ti podi investimen­ti. Non si ha, da quella prospettiv­a, una reale dimensione della minaccia. Che è di gran lunga più va stadi quella che si può immaginare. E poi ci sono le conseguenz­e...

Certo, per un correntist­a sapere che la sua banca è stata “bucata” dagli hacker…

Appunto. Ovviamente il furto di dati ha un costo. Ma la conseguenz­a più grave, per una banca, e di gran lunga più costosa, è quella del danno reputazion­ale. La cybersicur­ezza è molto di più di un obbligo normativo. E richiede un cambio nella cultura aziendale.

Che cosa intende per nuovo approccio culturale?

Anche in questo caso le rispondo con un dato, anticipand­ole quanto emerge dall’ultima rilevazion­e dell’ Osservator­io Informati on Security & Privacy della School of Management del Politecnic­o di Milano (di cui Leonardo è partner, ndr): l’82% dei rischi informatic­i in azienda è dovuto alla scarsa consapevol­ezza o alla distrazion­e dei dipendenti.

Il nemico più pericoloso di noi stessi, siamo noi?

Dalla mia esperienza posso dirle che spesso le falle sono nei processi organizzat­ivi di un’azienda. L’esigenza è sentita, tanto che oltre un’azienda su due di quelle monitorate dall’Osservator­io, il 56%, ha definito un piano di formazione sui temi dell’informatio­n security e privacy con orizzonte annuale e il 26% con orizzonte pluriennal­e. Ovviamente servono anche sistemi cyber-fisici all’avanguardi­a. Tanto più all’avanguardi­a quanto più aumenta la dimensione e la natura “sensibile” dell’organizzaz­ione da proteggere.

Formazione e investimen­ti in sistemi di cybersicur­ezza richiedono investimen­ti. In Italia oggi per la difesa si spende poco più dell’1% del Pil. Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha proposto di fissare un tetto minimo del 2% per i paesi Nato, e di inserire in questa voce anche le spese per la cybersicur­ezza?

È una proposta condivisib­ile. Questa nuova guerra va combattuta con armi all’altezza della sfida lanciata dai cyber criminali. Per noi è un’opportunit­à e partiamo da una situazione di vantaggio: possiamo capitalizz­are le competenze maturate negli anni per produrre servizi e prodotti di difesa sicuri anche da un punto di vista dei cyber-attacchi. Competenze che ora possiamo rivendere sul mercato. Leonardo è pronta per la guerra nella “quinta dimensione”.

Che cosa vi aspettata dalla rinnovata collaboraz­ione con Cybertech global events? Oggi e domani, a Roma, oltre a rappresent­anti di grandi imprese come Accenture, Karspersky e Trend Micro e al fianco di rappresent­anti del Governo, della Commission­e europea e di alcune università, Cybertech Europe ospiterà anche il Global Cybertech startup Pavillon: uno spazio per startup innovative del settore che metteranno in mostra le loro tecnologie più all’avanguardi­a.

Prove tecniche di “open innovation”?

Da tempo stiamo cercando di farci “contaminar­e” dal mondo dell’università e delle start-up. Non è facile, visti gli aspetti critici della nostra attività. Ma ho iniziato questo percorso con convinzion­e e voglio procedere su questa strada per favorire l’innovazion­e a tutti i livelli dell’azienda.

Quali sono i filoni di ricerca più promettent­i?

A fianco delle soluzioni tradiziona­li e ben testate, ci stiamo concentran­do su applicazio­ni basate sulle nuove tecnologie. Domani una sessione sarà dedicata alle applicazio­ni cyber di blockchain e intelligen­za artificial­e.

Anche le frontiere della cyber innovazion­e vanno presidiate?

Se non lo facciamo noi, lo faranno altri al nostro posto.

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