UniCredit, Mustier a caccia di una banca
Il ceo prepara una grande fusione - Dal suo arrivo ha raccolto oltre 20 miliardi In salita le opzioni SocGen e Commerz, ora i dossier Lloyds Bank e Abn Amro
Che cosa farà nel 2019 l’UniCredit di Jean Pierre Mustier? L’obiettivo strategico è chiaro: sarà l’anno della grande fusione che accentui il profilo paneuropeo del gruppo, riducendo il peso relativo dell’Italia. Presentando in agosto i conti semestrali del gruppo, lo stesso Mustier ha ammesso per la prima volta che «nel prossimo piano a fine 2019 valuteremo anche le opzioni di crescita esterna».
Chi lo conosce bene sostiene che se lo ha detto, iniziando a sondare le reazioni del mercato, lo farà. O quantomeno, ci proverà. Archiviati i tentativi di aggregazione con Commerzbank e sospesi temporaneamente quelli con Société Générale, quali alternative sono allo studio? Una pista porta all’inglese Lloyds Bank (poco meno di 50 miliardi di market cap in euro), guidata da quell’Antonio Horta Osorio che qualche anno fa sembrava tra i papabili ceo di UniCredit. Un’altra strada, sempre secondo fonti finanziarie, porta invece in Olanda. Abn Amro, che capitalizza poco più di 11 miliardi di euro, è una vecchia conoscenza del mercato italiano dove è stata per anni azionista di Capitalia e protagonista dell’Opa su AntonVeneta. L’alternativa, di stazza maggiore e con modello di business diverso, è Ing, che capitalizza 44,7 miliardi. Contattati da Il Sole 24 Ore, i portavoce di UniCredit hanno risposto: no comment ai rumor.
Qualunque sia la controparte prescelta, l’obiettivo non sarà facile da raggiungere perché, oltre alle complessità regolatorie e alla probabile diffidenza del Governo sovranista italiano, una fusione cross border dovrà convincere in prima battuta gli investitori istituzionali che rappresentano ormai la quasi totalità dell’azionariato di UniCredit. «Perché UniCredit dovrebbe avere bisogno di accrescere il suo profilo paneuropeo? Non destano preoccupazione le richieste sul capitale che una fusione determinerebbe scalando la graduatoria delle G-Sifi? (banche di interesse sistemico, ndr»), si domandano i sector analist di Exane Bnp-Paribas in un report datato 18 settembre. Negli ultimi mesi si è ipotizzata una possibile fusione con Société Générale, con cui UniCredit ai tempi di Alessandro Profumo aveva già tentato un merger che fallì, tra l’altro, per i dissidi italo-francesi sulla scelta della sede dell'headquarter del gruppo. C’è chi sostiene che oggi il nodo della sede non sia più un problema se è vero che un anno fa, nel corso dei contatti (mai smentiti, come quelli con SocGen) per una fusione con la tedesca Commerzbank, il vertice di UniCredit sarebbe stato disponibile anche ad accettare che il quartier generale avesse sede in Germania pur trasferendo in Italia il polo unico del private banking. L’ipotesi di nozze con Commerz è però naufragata per il no dei tedeschi che, a dispetto dell’europeismo di bandiera, sul versante bancario preferiscono le soluzioni nazionali come dimostra il tentativo di fusione in corso tra Deutsche-Commerz.
Per UniCredit anche la strada del matrimonio con SocGen, che tra maggio e giugno è stata approfondita dai vertici delle due banche, è diventata in salita. Anche in questo caso soprattutto per la perplessità degli investitori che, prima ancora di vedere i benefici delle eventuali sinergie, si sono focalizzati sui rischi dell’operazione. «Il deal è improbabile in tempi brevi - scrivono gli analisti di Rbc Capital Markets - per l’elevato rischio politico, le ristrutturazioni da completare e le potenziali richieste di capitale addizionale».
In questa fase il nodo delle valutazioni si fa sentire soprattutto su UniCredit che, da quando a maggio il rischio Italia si è riaffacciato sui mercati, ha visto le quotazioni scendere di oltre il 20% da 18 a 14 euro per una capitalizzazione complessiva di 31 miliardi, ormai praticamente allineata a quella di SocGen (30,5 miliardi). Su UniCredit pesa il rischio-BTp e, in misura minore, le incertezze sulla crisi in Turchia dove il gruppo è presente tramite YapiKredi. Un contesto di instabilità che ha portato al rinvio (ma non all’abbandono) del dossier SocGen.
Se nelle prossime settimane il rischio Italia scomparirà dall’orizzonte dei mercati, è assai probabile che Mustier torni ad esaminare progetti di aggregazione paneuropea per il 2019. Chi conosce il banchiere dice che ha l’intelligenza del grande trader, simile a quella del campione di scacchi, abile nell’immaginare la sequenza di mosse e contromosse. Uno stratega più a suo agio nella City di Londra che nelle convention per motivare dipendenti e poco avvezzo alla gestione quotidiana della macchina organizzativa di un gruppo come UniCredit. Difficile pensare che, anche nel triennio futuro, la strategia della banca passi solo dal derisking e dal taglio dei costi. Si vedrà se la pista inglese o quella olandese prenderanno consistenza nelle prossime settimane.
È certo che, anche ai fini di un merger, la valutazione di mercato di UniCredit è probabilmente il maggior cruccio attuale di Mustier. Arrivato al vertice dell’istituto a fine giugno 2016, prese le redini del gruppo quando il valore era di appena 6,5 miliardi. Il rilancio è passato dal piano straordinario di rafforzamento del capitale da 20 miliardi, di cui 13 miliardi di ricapitalizzazione e il resto arrivato dalle cessioni del 41% di Bank Pekao, del 100% di Pioneer e dal collocamento di una quota di minoranza di Fineco. Dei 20 miliardi incassati, secondo Equita sim 8 miliardi di capitale sono stati assorbiti dalle rettifiche su crediti necessarie a finanziare il deconsolidamento di 17,7 miliardi di Npl (progetto Fino). Altro capitale è stato utilizzato per le successive cessioni di crediti deteriorati. La parte restante è servita a ripristinare il capitale di vigilanza (Cet1) che, dal 10,33% di giugno 2016, è risalito al 12,5% del giugno 2018. La ricapitalizzazione da 13 miliardi è stata un successo per chi ha sottoscritto le azioni a 8,09 euro (oggi poco sopra i 14 euro). Ma la capitalizzazione di mercato, che un anno fa superava i 40 miliardi di euro, oggi si è stabilizzata attorno ai 31 miliardi. Complicando le ipotesi di aggregazione se, davvero, l’intenzione è quella di puntare a un merger of equal fuori dai confini italiani. L’Italia non fa parte delle aree in cui UniCredit intende crescere.
Mustier lo ha ribadito esplicitamente più volte con motivazioni logiche. Con una sola apparente incongruenza riguardo alla filiera Mediobanca-Generali. Mustier considera Mediobanca una partecipazione finanziaria, da cedere appena il prezzo consentirà di farlo senza minusvalenze. Ma in più occasioni si è mostrato interessato ai destini delle Assicurazioni Generali, che vedono Mediobanca primo azionista con il 13%. E c’è chi ritiene che, anche dopo l’uscita da Piazzetta Cuccia su cui le diplomazie restano comunque al lavoro, il banchiere francese intenda mantenere un aggancio con Generali. Ma questa, per ora, è un’altra storia.