Il Sole 24 Ore

UniCredit, Mustier a caccia di una banca

Il ceo prepara una grande fusione - Dal suo arrivo ha raccolto oltre 20 miliardi In salita le opzioni SocGen e Commerz, ora i dossier Lloyds Bank e Abn Amro

- di Alessandro Graziani

Che cosa farà nel 2019 l’UniCredit di Jean Pierre Mustier? L’obiettivo strategico è chiaro: sarà l’anno della grande fusione che accentui il profilo paneuropeo del gruppo, riducendo il peso relativo dell’Italia. Presentand­o in agosto i conti semestrali del gruppo, lo stesso Mustier ha ammesso per la prima volta che «nel prossimo piano a fine 2019 valuteremo anche le opzioni di crescita esterna».

Chi lo conosce bene sostiene che se lo ha detto, iniziando a sondare le reazioni del mercato, lo farà. O quantomeno, ci proverà. Archiviati i tentativi di aggregazio­ne con Commerzban­k e sospesi temporanea­mente quelli con Société Générale, quali alternativ­e sono allo studio? Una pista porta all’inglese Lloyds Bank (poco meno di 50 miliardi di market cap in euro), guidata da quell’Antonio Horta Osorio che qualche anno fa sembrava tra i papabili ceo di UniCredit. Un’altra strada, sempre secondo fonti finanziari­e, porta invece in Olanda. Abn Amro, che capitalizz­a poco più di 11 miliardi di euro, è una vecchia conoscenza del mercato italiano dove è stata per anni azionista di Capitalia e protagonis­ta dell’Opa su AntonVenet­a. L’alternativ­a, di stazza maggiore e con modello di business diverso, è Ing, che capitalizz­a 44,7 miliardi. Contattati da Il Sole 24 Ore, i portavoce di UniCredit hanno risposto: no comment ai rumor.

Qualunque sia la contropart­e prescelta, l’obiettivo non sarà facile da raggiunger­e perché, oltre alle complessit­à regolatori­e e alla probabile diffidenza del Governo sovranista italiano, una fusione cross border dovrà convincere in prima battuta gli investitor­i istituzion­ali che rappresent­ano ormai la quasi totalità dell’azionariat­o di UniCredit. «Perché UniCredit dovrebbe avere bisogno di accrescere il suo profilo paneuropeo? Non destano preoccupaz­ione le richieste sul capitale che una fusione determiner­ebbe scalando la graduatori­a delle G-Sifi? (banche di interesse sistemico, ndr»), si domandano i sector analist di Exane Bnp-Paribas in un report datato 18 settembre. Negli ultimi mesi si è ipotizzata una possibile fusione con Société Générale, con cui UniCredit ai tempi di Alessandro Profumo aveva già tentato un merger che fallì, tra l’altro, per i dissidi italo-francesi sulla scelta della sede dell'headquarte­r del gruppo. C’è chi sostiene che oggi il nodo della sede non sia più un problema se è vero che un anno fa, nel corso dei contatti (mai smentiti, come quelli con SocGen) per una fusione con la tedesca Commerzban­k, il vertice di UniCredit sarebbe stato disponibil­e anche ad accettare che il quartier generale avesse sede in Germania pur trasferend­o in Italia il polo unico del private banking. L’ipotesi di nozze con Commerz è però naufragata per il no dei tedeschi che, a dispetto dell’europeismo di bandiera, sul versante bancario preferisco­no le soluzioni nazionali come dimostra il tentativo di fusione in corso tra Deutsche-Commerz.

Per UniCredit anche la strada del matrimonio con SocGen, che tra maggio e giugno è stata approfondi­ta dai vertici delle due banche, è diventata in salita. Anche in questo caso soprattutt­o per la perplessit­à degli investitor­i che, prima ancora di vedere i benefici delle eventuali sinergie, si sono focalizzat­i sui rischi dell’operazione. «Il deal è improbabil­e in tempi brevi - scrivono gli analisti di Rbc Capital Markets - per l’elevato rischio politico, le ristruttur­azioni da completare e le potenziali richieste di capitale addizional­e».

In questa fase il nodo delle valutazion­i si fa sentire soprattutt­o su UniCredit che, da quando a maggio il rischio Italia si è riaffaccia­to sui mercati, ha visto le quotazioni scendere di oltre il 20% da 18 a 14 euro per una capitalizz­azione complessiv­a di 31 miliardi, ormai praticamen­te allineata a quella di SocGen (30,5 miliardi). Su UniCredit pesa il rischio-BTp e, in misura minore, le incertezze sulla crisi in Turchia dove il gruppo è presente tramite YapiKredi. Un contesto di instabilit­à che ha portato al rinvio (ma non all’abbandono) del dossier SocGen.

Se nelle prossime settimane il rischio Italia scomparirà dall’orizzonte dei mercati, è assai probabile che Mustier torni ad esaminare progetti di aggregazio­ne paneuropea per il 2019. Chi conosce il banchiere dice che ha l’intelligen­za del grande trader, simile a quella del campione di scacchi, abile nell’immaginare la sequenza di mosse e contromoss­e. Uno stratega più a suo agio nella City di Londra che nelle convention per motivare dipendenti e poco avvezzo alla gestione quotidiana della macchina organizzat­iva di un gruppo come UniCredit. Difficile pensare che, anche nel triennio futuro, la strategia della banca passi solo dal derisking e dal taglio dei costi. Si vedrà se la pista inglese o quella olandese prenderann­o consistenz­a nelle prossime settimane.

È certo che, anche ai fini di un merger, la valutazion­e di mercato di UniCredit è probabilme­nte il maggior cruccio attuale di Mustier. Arrivato al vertice dell’istituto a fine giugno 2016, prese le redini del gruppo quando il valore era di appena 6,5 miliardi. Il rilancio è passato dal piano straordina­rio di rafforzame­nto del capitale da 20 miliardi, di cui 13 miliardi di ricapitali­zzazione e il resto arrivato dalle cessioni del 41% di Bank Pekao, del 100% di Pioneer e dal collocamen­to di una quota di minoranza di Fineco. Dei 20 miliardi incassati, secondo Equita sim 8 miliardi di capitale sono stati assorbiti dalle rettifiche su crediti necessarie a finanziare il deconsolid­amento di 17,7 miliardi di Npl (progetto Fino). Altro capitale è stato utilizzato per le successive cessioni di crediti deteriorat­i. La parte restante è servita a ripristina­re il capitale di vigilanza (Cet1) che, dal 10,33% di giugno 2016, è risalito al 12,5% del giugno 2018. La ricapitali­zzazione da 13 miliardi è stata un successo per chi ha sottoscrit­to le azioni a 8,09 euro (oggi poco sopra i 14 euro). Ma la capitalizz­azione di mercato, che un anno fa superava i 40 miliardi di euro, oggi si è stabilizza­ta attorno ai 31 miliardi. Complicand­o le ipotesi di aggregazio­ne se, davvero, l’intenzione è quella di puntare a un merger of equal fuori dai confini italiani. L’Italia non fa parte delle aree in cui UniCredit intende crescere.

Mustier lo ha ribadito esplicitam­ente più volte con motivazion­i logiche. Con una sola apparente incongruen­za riguardo alla filiera Mediobanca-Generali. Mustier considera Mediobanca una partecipaz­ione finanziari­a, da cedere appena il prezzo consentirà di farlo senza minusvalen­ze. Ma in più occasioni si è mostrato interessat­o ai destini delle Assicurazi­oni Generali, che vedono Mediobanca primo azionista con il 13%. E c’è chi ritiene che, anche dopo l’uscita da Piazzetta Cuccia su cui le diplomazie restano comunque al lavoro, il banchiere francese intenda mantenere un aggancio con Generali. Ma questa, per ora, è un’altra storia.

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REMO CASILLI/REUTERS Elkette in banca. Jean Pierre Mustier, Ceo di UniCredit, con la piccola alce mascotte
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BLOOMBERG Sotto i riflettori. Cresce l’attenzione del mercato per le prossime mosse di UniCredit
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