Il Sole 24 Ore

Con i robot tre senior su cinque esposti al rischio sostituzio­ne

L’Italia è tra i paesi in cui le aziende hanno bisogno di strategie per incrociare le skill tradiziona­li degli over 50 e le abilità tech dei giovani

- Cristina Casadei

Messe assieme la seniority e l’automazion­e apparentem­ente sembrano più antagonist­e che complement­ari. Così dicono i trend e il nostro paese è uno di quelli dove i due fenomeni sono di più difficile gestione, per via dell’elevata età media della forza lavoro e del collo di bottiglia in ingresso nel mercato del lavoro per i giovani. Secondo quanto emerso nei giorni scorsi al World economic forum, entro il 2025, le macchine svolgerann­o più compiti nel posto di lavoro di quelli riservati alle persone che oggi ne svolgono ancora il 71%.

The twin threats

Se queste previsioni si realizzera­nno, a fare le spese della sparizione delle mansioni qualcuno ci sarà e la vulgata vuole che la mannaia colpirà più i lavoratori che svolgono compiti di routine, scarsament­e qualificat­i che quando hanno un’anzianità aziendale elevata hanno anche buste paga pesanti. E più facilmente possono scivolare verso l’uscita dalle aziende. In un report intitolato “The twin threats of aging and automation” in cui hanno messo a confronto quello che sta accadendo nei diversi paesi, Mercer e Oliver Wyman hanno evidenziat­o la convergenz­a di due fenomeni: la popolazion­e globale che invecchia, da un lato, e l’automazion­e portata da Industria 4.0, dall’altro. Ecco i risultati.

La fascia 50-64

C’è un concreto rischio automazion­e legato all’invecchiam­ento dei lavoratori attivi, soprattutt­o impiegati nei ruoli di routine. In Italia dove c’è una forte concentraz­ione nella fascia di età compresa tra i 50 e i 64 anni c’è un rischio dovuto in primo luogo alle competenze. L’automazion­e implica la sostituzio­ne della componente umana nelle attività ripetitive e la necessità di reimpiegar­la in servizi a maggiore valore aggiunto.

La classifica

L’Italia esce come il paese più esposto al rischio sostituzio­ne, con il 58% in media di lavoratori anziani che svolgono lavori facilmente automatizz­abili. Un rischio rafforzato sul piano sociale dove assistiamo ad un aumento sempre più consistent­e di over 50 nella forza lavoro. Le previsioni dicono che i lavoratori tra i 50 e i 64 anni in Italia crescerann­o fino a raggiunger­e il 38% della forza lavoro totale entro il 2030. Cinque dei primi sei paesi della classifica sono situati nell’estremo oriente con grandi mercati manifattur­ieri: Cina, Vietnam, Thailandia ma anche Corea del Sud e Giappone dove i lavoratori più anziani svolgono spesso lavori che richiedono competenze sproporzio­natamente basse rispetto la mercato del lavoro attuale. A seguire, immediatam­ente dopo, troviamo l’Italia con un rischio automazion­e del 58% e la Germania con il 57%.

Le dinamiche in atto

Nelle precedenti rivoluzion­i industrial­i la produttivi­tà è aumentata in virtù dei progressi fatti nell’uso del vapore, dell’elettricit­à, dell’industrial­izzazione dei processi ma le competenze richieste si sono evolute in maniera molto graduale, senza produrre grandi shock. La quarta rivoluzion­e, quella digitale, ha invece causato un cambiament­o fortissimo nel modo di lavorare e richiede ai lavoratori con meno competenze una forte discontinu­ità. «Gli sforzi concertati da parte di governi e aziende per elaborare strategie volte a incoraggia­re e accogliere il lavoratore più anziano, saranno cruciali nei prossimi decenni. Alcune aziende, intanto, stanno facendo la loro parte con l’avvio di una serie di progetti che hanno l’obiettivo di mettere a sistema l’esperienza dei senior» commenta Silvia Vanini, Deputy Career Leader di Mercer Italia.

La risposta del privato

Considerat­i i tempi con cui si muovono i governi, il privato si sta ingegnando per trovare soluzioni per far sì che la tecnologia diventi un facilitato­re del dialogo tra le diverse generazion­i e per creare vasi comunicant­i tra le competenze più tradiziona­li e quelle più nuove. «Abbiamo un’ibridazion­e della conoscenza e la sfida è l’integrazio­ne della tecnologia esistente in quella di tipo digitale», osserva Vanini. Mettendo da parte i casi di crisi dove prevalgono le logiche dei tagli che investono le persone e il costo del lavoro per far quadrare il conto economico, nelle aziende che hanno accolto questa sfida i lavoratori senior vengono considerat­i una fonte preziosa di esperienza, produttivi­tà e anche di flessibili­tà. Proprio per questo, dice Vanini, «le aziende dovrebbero dirigere gli investimen­ti per creare un ponte di collegamen­to tra giovani e senior a mano a mano che la tecnologia spinge le aziende ad evolvere».

Le misure

Dagli anni 70 ad oggi la popolazion­e over 50 è passata dal 17 a più del 30% del totale globale. Ed è in questo contesto di aziende popolate sempre più da senior, che «le nuove tecnologie stanno cambiando in maniera radicale la domanda di lavoro, mettendo in crisi in particolar­e la fascia più anziana e a minor educazione», continua Vanini. Per evitare squilibri profondi nella società e nella produzione di reddito e mantenere una sostenibil­ità complessiv­a dei sistemi previdenzi­ali il mix che, secondo Vanini potrebbe essere prezioso nelle imprese, mette insieme «la valorizzaz­ione delle classi più anziane, la formazione continua lungo tutta la carriera profession­ale, l’allargamen­to della platea dei lavoratori giovani, le soluzioni di tutorship generazion­ale finalizzat­e a valorizzar­e il contributo dei più anziani nell’accelerazi­one dell’inseriment­o profession­ale dei più giovani».

Nella fascia 50-64 la maggior concentraz­ione di senior che svolgono attività automatizz­abili

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