ITALIA-EUROPA, FRA PACE ARMATA E GUERRA APERTA
Nel decennale della Grande crisi scatenata dal fallimento di Lehman Brothers, nell’anno in cui la Grecia torna gradualmente a essere un Paese normale dopo il lungo incubo del rigore cieco, un nuovo ciclone si prepara ad abbattersi su Europa ed euro, un ciclone di nome Italia? Le previsioni, più o meno cupe, più o meno rosee, oggi in fondo lasciano il tempo che trovano perché sono troppe le incognite e le carte coperte di una partita che è appena cominciata, dove dietro il suono di parole roboanti restano oscure le reali intenzioni dei protagonisti. Tutti.
Gli ingredienti perché si consumi la prima grave crisi dell’era post-Lehman con seri rischi esistenziali per l’euro ci sono tutti. L’Italia è la terza economia dell’area con un debito astronomico (oltre il 132% del Pil) e la crescita economica più bassa, equazione di dubbia sostenibilità finanziaria e con un potenziale destabilizzante che va ben oltre quello della Grecia, che pure, nel suo piccolo, riuscì a propagare un enorme contagio.
Con una aggravante. Non si sa quale sia l’obiettivo ultimo della prima “manovra del popolo” che ha triplicato al 2,4% il deficit nominale per il prossimo triennio: se un’accelerazione dello sviluppo dai contorni più social-redistributivi che economico-riformistico-produttivi, comunque in violazione di impegni presi e regole sottoscritte a livello europeo per tener fede alle promesse del contratto di Governo, oppure una flagrante provocazione che mira in realtà a rovesciare il tavolo europeo con immediate finalità elettoralistiche interne in vista delle Europee di maggio. Finalità non esenti però in prospettiva da noti retropensieri anti-euro in cui si mescolano tentazioni di divorzio con esplicite ansie di cambiare gli attuali Trattati (che postulano decisioni unanimi), a partire dal Fiscal compact.
I mercati, la Borsa e l’euro ieri hanno reagito malissimo. Con pessime ricadute sul costo del servizio del debito.
L’Europa per ora sta alla finestra in attesa di leggere il 15 ottobre la versione definitiva della legge di bilancio e intanto spera che la pressione dei mercati induca Roma a più miti consigli. «Nessuno ha interesse a una crisi con l’Italia, che è un Paese importante della zona euro, ma nessuno ha nemmeno interesse a che l’Italia non rispetti le regole e non riduca il suo debito elevato», ha detto ieri il commissario Ue, Pierre Moscovici. Ricordando che «il debito va ridotto non per le regole Ue ma perché, se aumenta, ci si impoverisce».
Che l’Italia possa trovare dentro l’Eurozona solidarietà e Paesi compiacenti è alquanto improbabile perché il fronte Sud, il potenziale alleato, vede oggi Spagna, Portogallo e Grecia in fase di crescente convergenza virtuosa e quello del Nord sempre arroccato su disciplina e riduzione dei rischi altrui.
Anche se l’ascesa costante di forze populiste e nazionaliste in Europa potrebbe creare l’impressione di non essere politicamente isolati, in economia non vale la stessa logica: i populisti del Nord, tedeschi in primis, sono anti-euro perché vogliono la certezza della stabilità per vaccinarsi dall’instabilità che promana da Paesi appunto come l’Italia.
Non solo. Da tempo i ministri finanziari dell’Eurogruppo sono in rotta di collisione con Bruxelles, che è accusata di aver concesso negli ultimi tre anni troppa flessibilità di bilancio proprio al nostro Paese (circa 20 miliardi) che ora risponde violando le regole. E accrescendo l’irritazione dei partner.
Detto questo, i poteri sanzionatori ci sono, ma richiedono tempo: diventerebbero effettivi a ridosso delle Europee, cioè nel momento peggiore per chi vuole più Europa e non meno. E poi sono politicamente indigesti, tanto che non sono mai stati applicati né alla Francia che pure è stata per nove anni in deficit eccessivo e nemmeno a Spagna e Portogallo.
L’Europa ora è debole. Nessun Governo vuole né può spingersi più di tanto allo scontro con l’Italia. Una crisi grave dell’euro non conviene a nessuno, anche perché sarebbe per tutti un salto nel buio di fronte a un Paese too big to fail. In passato non sono mancate nell’Eurozona manovre per defenestrare governi troppo scomodi. Ma oggi scenari del genere non cambierebbero gli interlocutori al potere in Italia, probabilmente li rafforzerebbero.
Allora l’Italia è tutto sommato in una botte di ferro, libera di agire come meglio crede, anche perché qualora la reazione dei mercati la mettesse in ginocchio nessuno in Europa potrebbe aiutarla se non su sua esplicita richiesta? No, perché lo scenario del disastro sarebbe prima di tutto italiano, pagato dagli italiani, e poi anche europeo. Il precedente di Brexit, del Regno Unito che pure non è nell’euro, insegna che i divorzi dall’Unione sono un grande salto nel buio. Meglio negoziare con l’Europa provando a tirare la coperta dalla propria parte: poco traumatico, più redditizia la pace armata di una costosissima guerra aperta.
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