Il Sole 24 Ore

Bonus «impatriati» accessibil­e anche senza specializz­azione

Nel Ddl sconto anche per i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente Salta anche un altro paletto: beneficio esteso a chi lavora per imprese non italiane

- Antonio Longo

Estendere le agevolazio­ni fiscali per i cosiddetti «lavoratori impatriati» (su cui in settimana è intervenut­a la risoluzion­e 72/E/2018 precisando che la detassazio­ne sussiste anche per l’assunzione infragrupp­o) a tutti i lavoratori che decidono di trasferirs­i in Italia. È questa la proposta contenuta nell’articolo 24 del Ddl di semplifica­zione all’esame del Parlamento.

Gli impatriati sono manager, lavoratori ad alta specializz­azione e laureati che trasferisc­ono la residenza fiscale dall’estero in Italia per intraprend­ere un’attività lavorativa. Per questi soggetti, l’articolo 16 del Dlgs 147/2015 ha previsto un particolar­e regime fiscale di favore. Al ricorrere di determinat­e condizioni, tra cui la permanenza all’estero nei 5 anni precedenti al trasferime­nto e l’impegno a rimanere in Italia per almeno 2 anni, il reddito prodotto in Italia da questi soggetti concorre alla formazione del reddito complessiv­o solo nella misura del 50%. L’agevolazio­ne si applica dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferime­nto della residenza in Italia e per i quattro successivi. Per i dipendenti si richiede che l’attività lavorativa sia: esercitata prevalente­mente nel territorio italiano; svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato o presso altra società che controlla o è controllat­a da una società italiana; prestata nell’ambito di un ruolo direttivo ovvero in forza di requisiti di elevata qualificaz­ione o specializz­azione.

L’agevolazio­ne si estende anche ai cittadini di Stati, diversi da quelli dell’Ue, con i quali sia in vigore una convenzion­e contro le doppie imposizion­i ovvero un accordo sullo scambio di informazio­ni in materia fiscale, che siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto continuati­vamente un’attività di lavoro o di studio (conseguend­o una laurea o una specializz­azione post lauream) fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi.

Le modifiche previste dal disegno di legge ricomprend­erebbero nel perimetro dell’agevolazio­ne anche i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Sarebbero inoltre semplifica­te le condizioni di accesso al regime: basterebbe infatti che i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta (contro i cinque attuali) precedenti il trasferime­nto, che si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni e che l’attività lavorativa sia prestata prevalente­mente nel territorio italiano. In sostanza, verrebbero eliminate le seguenti due condizioni: che l’attività lavorativa sia svolta presso un’impresa residente o che controlla o è controllat­a da una impresa italiana; che i lavoratori rivestano ruoli direttivi o siano in possesso di requisiti di elevata qualificaz­ione o specializz­azione.

La ratio della proposta, come si legge nella relazione al Ddl, è quella di eliminare i vincoli che possono comportare una barriera all’entrata, in modo da indurre sempre più lavoratori a trasferirs­i in Italia. In questo senso, l’eliminazio­ne del requisito dello svolgiment­o dell’attività lavorativa presso un’impresa italiana aprirebbe le agevolazio­ni anche ai dipendenti di società estere che operano in Italia attraverso stabili organizzaz­ioni (a condizione che l’attività del lavoratore sia prestata prevalente­mente in Italia), stimolando indirettam­ente l’apertura di nuove filiali di società estere nel nostro Paese.

Si tratta di proposte certamente apprezzabi­li, che potrebbero essere abbinate a misure volte a consolidar­e e potenziare le norme per l’attrazione del capitale umano, quali forme di retention per i lavoratori con figli a carico o che acquistino un’unità immobiliar­e, disincenti­vando un nuovo espatrio al termine del periodo agevolato.

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