Bonus «impatriati» accessibile anche senza specializzazione
Nel Ddl sconto anche per i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente Salta anche un altro paletto: beneficio esteso a chi lavora per imprese non italiane
Estendere le agevolazioni fiscali per i cosiddetti «lavoratori impatriati» (su cui in settimana è intervenuta la risoluzione 72/E/2018 precisando che la detassazione sussiste anche per l’assunzione infragruppo) a tutti i lavoratori che decidono di trasferirsi in Italia. È questa la proposta contenuta nell’articolo 24 del Ddl di semplificazione all’esame del Parlamento.
Gli impatriati sono manager, lavoratori ad alta specializzazione e laureati che trasferiscono la residenza fiscale dall’estero in Italia per intraprendere un’attività lavorativa. Per questi soggetti, l’articolo 16 del Dlgs 147/2015 ha previsto un particolare regime fiscale di favore. Al ricorrere di determinate condizioni, tra cui la permanenza all’estero nei 5 anni precedenti al trasferimento e l’impegno a rimanere in Italia per almeno 2 anni, il reddito prodotto in Italia da questi soggetti concorre alla formazione del reddito complessivo solo nella misura del 50%. L’agevolazione si applica dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza in Italia e per i quattro successivi. Per i dipendenti si richiede che l’attività lavorativa sia: esercitata prevalentemente nel territorio italiano; svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato o presso altra società che controlla o è controllata da una società italiana; prestata nell’ambito di un ruolo direttivo ovvero in forza di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
L’agevolazione si estende anche ai cittadini di Stati, diversi da quelli dell’Ue, con i quali sia in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che siano in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto continuativamente un’attività di lavoro o di studio (conseguendo una laurea o una specializzazione post lauream) fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi.
Le modifiche previste dal disegno di legge ricomprenderebbero nel perimetro dell’agevolazione anche i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Sarebbero inoltre semplificate le condizioni di accesso al regime: basterebbe infatti che i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta (contro i cinque attuali) precedenti il trasferimento, che si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni e che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano. In sostanza, verrebbero eliminate le seguenti due condizioni: che l’attività lavorativa sia svolta presso un’impresa residente o che controlla o è controllata da una impresa italiana; che i lavoratori rivestano ruoli direttivi o siano in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
La ratio della proposta, come si legge nella relazione al Ddl, è quella di eliminare i vincoli che possono comportare una barriera all’entrata, in modo da indurre sempre più lavoratori a trasferirsi in Italia. In questo senso, l’eliminazione del requisito dello svolgimento dell’attività lavorativa presso un’impresa italiana aprirebbe le agevolazioni anche ai dipendenti di società estere che operano in Italia attraverso stabili organizzazioni (a condizione che l’attività del lavoratore sia prestata prevalentemente in Italia), stimolando indirettamente l’apertura di nuove filiali di società estere nel nostro Paese.
Si tratta di proposte certamente apprezzabili, che potrebbero essere abbinate a misure volte a consolidare e potenziare le norme per l’attrazione del capitale umano, quali forme di retention per i lavoratori con figli a carico o che acquistino un’unità immobiliare, disincentivando un nuovo espatrio al termine del periodo agevolato.