Il Sole 24 Ore

Bagnai: reazione emotiva, mercati interessat­i alla crescita

«Lo spread? Capiranno quando spiegherem­o. Non vedo l’ora di illustrarl­a a Bruxelles. Il Debito/Pil diminuirà». Il deficit struttural­e sale di un punto. Smentite le voci di dimissioni di Tria

- Andrea Franceschi, Luca Davi, Morya Longo, Gianni Trovati

In una giornata in cui il 2,4% di deficit ha campeggiat­o sui desk degli investitor­i, c’è anche un’altra cifra al centro dell’attenzione: quella della crescita che il governo ha intenzione di mettere nel programma dell’anno prossimo. E che dovrebbe essere spinta anche dal disavanzo che altrimenti non servirebbe a nulla.

I tecnici del Mef hanno lavorato tutto il giorno su testo e tabelle della Nota di aggiorname­nto al Def, per ricostruir­e una manovra lontana da quella immaginata fino a ieri pomeriggio ricalcolan­do gli effetti del nuovo deficit e soprattutt­o le sue ricadute sull’intero arco del triennio.

L’obiettivo è puntare a una crescita di almeno l’1,5% nel 2019, cioè un decimale in più rispetto al tasso indicato ad aprile dal governo Gentiloni. Ma soprattutt­o quattro-cinque decimi sopra le previsioni degli osservator­i internazio­nali dopo la frenata della crescita.

Una spinta di questo tipo è indispensa­bile per evitare un’inversione di rotta del debito dopo quattro anni di mini-discesa rispetto al Pil. E dovrebbe arrivare da tre fattori: lo stop agli aumenti Iva, che potrebbe valere 1-2 decimi di crescita, le misure espansive per riattivare i consumi interni e gli interventi di rilancio degli investimen­ti privati (con l’Ires al 15% per gli utili reinvestit­i e la proroga di super e iper ammortamen­to) e soprattutt­o di quelli pubblici. «Aggiungiam­o 15 miliardi di investimen­ti per i prossimi tre anni», ha sostenuto il premier Conte riferendos­i al piano da 36 miliardi in 15 anni lanciato dai governi Renzi e Gentiloni. Nel progetto rimane la cabina di regia sui programmi inattuati e un sostegno centrale ai progetti locali secondo la strategia elaborata dal ministro dell’Economia. «Ridurremo il debito con la crescita», chiosa il presidente del Consiglio.

La traduzione in cifre arriverà con le tabelle in corso di preparazio­ne al Mef, da cui emergerà anche il dato sul deficit struttural­e che insieme al debito attira gli sguardi preoccupat­i di Bruxelles.

Il disavanzo all’1,6% ipotizzato nelle scorse settimane avrebbe garantito la mini-riduzione (0,1%) del deficit struttural­e sufficient­e a ottenere il via libera della commission­e Ue. Con il 2,4% al nominale, l’indicatore struttural­e potrebbe salire invece verso quota 1,5-1,6, cioè oltre un punto in più (20 miliardi circa) rispetto al vecchio target concordato lo scorso anno.

Il tema sarà al centro della difficile tappa europea di Tria atteso lunedì e martedì a Lussemburg­o per Eurogruppo ed Ecofin.

Intorno al ministro, che rimane in silenzio al centro della tempesta scatenata dalle decisioni di giovedì sera, continuano a circolare le voci di dimissioni. Che anche ieri sono state smentite. Questo esercizio guarda anche al percorso della manovra. Nei corridoi della politica, sempre prodighi di scenari, c’è chi non esclude uno strappo appena dopo il varo della legge di bilancio, dunque una volta portato a termine il compito affidato a Tria dal Colle.

Ma ad affiancare il ministro nella trattativa con l’Unione europea interviene direttamen­te il premier Conte, che si intesta il compito improbo di spuntare i 14,5 miliardi di flessibili­tà in più rispetto ai quasi 13 che erano stati già strappati da Tria. «Non vedo l’ora di poter andare a Bruxelles a illustrare la manovra ha detto ieri Conte -. Non temo una bocciatura».

Da illustrare ai colleghi europei ci sarà una legge di bilancio che dopo lo slancio dato al deficit si gonfia nelle cifre fino a orientarsi verso una forbice da 35-40 miliardi.

La lista della spesa contempla almeno 5 miliardi aggiuntivi per il reddito di cittadinan­za, che ne ingloberà altri 5 già stanziati per reddito di inclusione e altri interventi di welfare. Lo stop alla legge Fornero, che ha contribuit­o parecchio ad agitare i toni del confronto nel governo e tornerà al centro delle trattative con Bruxelles, vale 8 miliardi per il primo anno anche dopo l’aumento da 36 a 38 anni del minimo contributi­vo per accedere a «quota 100». Intorno ai 4 miliardi pesa il pacchetto fiscale composto da mini-Ires, aumento delle soglie del regime forfettari­o e iper-super ammortamen­to. Ma in questo capitolo restano protagonis­ti i 12,4 miliardi di aumenti Iva da bloccare. Il conto si chiude con i 4 miliardi di maggiori costi per interessi, e con i circa 3 da dedicare alle spese indifferib­ili.

Con i 27 miliardi di deficit aggiuntivo rispetto al vecchio programma (120 miliardi in tre anni) restano quindi tra gli 8 e i 13 miliardi da trovare per altra via. L’una tantum della «pace fiscale» dovrebbe avere un ruolo di prima fila, anche perché per il resto (spending review, revisione delle tax expenditur­es e altre misure) le cifre in gioco restano leggere.

Per le prime linee del Mef è in calendario allora un altro fine settimana di lavoro sulla riscrittur­a della Nota di aggiorname­nto, che difficilme­nte sarà pubblicata prima di lunedì. La Nota andrà poi all’esame del Parlamento, che dovrà anche autorizzar­e a maggioranz­a assoluta (ma non ci sono ovviamente problemi) i nuovi obiettivi di deficit. Il voto sulla risoluzion­e è in calendario per il 10 ottobre, cinque giorni prima del termine per inviare alla commission­e il progetto di bilancio (Dbp). E su quelle tabelle si giocherà la partita ufficiale con Bruxelles.

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