Bagnai: reazione emotiva, mercati interessati alla crescita
«Lo spread? Capiranno quando spiegheremo. Non vedo l’ora di illustrarla a Bruxelles. Il Debito/Pil diminuirà». Il deficit strutturale sale di un punto. Smentite le voci di dimissioni di Tria
In una giornata in cui il 2,4% di deficit ha campeggiato sui desk degli investitori, c’è anche un’altra cifra al centro dell’attenzione: quella della crescita che il governo ha intenzione di mettere nel programma dell’anno prossimo. E che dovrebbe essere spinta anche dal disavanzo che altrimenti non servirebbe a nulla.
I tecnici del Mef hanno lavorato tutto il giorno su testo e tabelle della Nota di aggiornamento al Def, per ricostruire una manovra lontana da quella immaginata fino a ieri pomeriggio ricalcolando gli effetti del nuovo deficit e soprattutto le sue ricadute sull’intero arco del triennio.
L’obiettivo è puntare a una crescita di almeno l’1,5% nel 2019, cioè un decimale in più rispetto al tasso indicato ad aprile dal governo Gentiloni. Ma soprattutto quattro-cinque decimi sopra le previsioni degli osservatori internazionali dopo la frenata della crescita.
Una spinta di questo tipo è indispensabile per evitare un’inversione di rotta del debito dopo quattro anni di mini-discesa rispetto al Pil. E dovrebbe arrivare da tre fattori: lo stop agli aumenti Iva, che potrebbe valere 1-2 decimi di crescita, le misure espansive per riattivare i consumi interni e gli interventi di rilancio degli investimenti privati (con l’Ires al 15% per gli utili reinvestiti e la proroga di super e iper ammortamento) e soprattutto di quelli pubblici. «Aggiungiamo 15 miliardi di investimenti per i prossimi tre anni», ha sostenuto il premier Conte riferendosi al piano da 36 miliardi in 15 anni lanciato dai governi Renzi e Gentiloni. Nel progetto rimane la cabina di regia sui programmi inattuati e un sostegno centrale ai progetti locali secondo la strategia elaborata dal ministro dell’Economia. «Ridurremo il debito con la crescita», chiosa il presidente del Consiglio.
La traduzione in cifre arriverà con le tabelle in corso di preparazione al Mef, da cui emergerà anche il dato sul deficit strutturale che insieme al debito attira gli sguardi preoccupati di Bruxelles.
Il disavanzo all’1,6% ipotizzato nelle scorse settimane avrebbe garantito la mini-riduzione (0,1%) del deficit strutturale sufficiente a ottenere il via libera della commissione Ue. Con il 2,4% al nominale, l’indicatore strutturale potrebbe salire invece verso quota 1,5-1,6, cioè oltre un punto in più (20 miliardi circa) rispetto al vecchio target concordato lo scorso anno.
Il tema sarà al centro della difficile tappa europea di Tria atteso lunedì e martedì a Lussemburgo per Eurogruppo ed Ecofin.
Intorno al ministro, che rimane in silenzio al centro della tempesta scatenata dalle decisioni di giovedì sera, continuano a circolare le voci di dimissioni. Che anche ieri sono state smentite. Questo esercizio guarda anche al percorso della manovra. Nei corridoi della politica, sempre prodighi di scenari, c’è chi non esclude uno strappo appena dopo il varo della legge di bilancio, dunque una volta portato a termine il compito affidato a Tria dal Colle.
Ma ad affiancare il ministro nella trattativa con l’Unione europea interviene direttamente il premier Conte, che si intesta il compito improbo di spuntare i 14,5 miliardi di flessibilità in più rispetto ai quasi 13 che erano stati già strappati da Tria. «Non vedo l’ora di poter andare a Bruxelles a illustrare la manovra ha detto ieri Conte -. Non temo una bocciatura».
Da illustrare ai colleghi europei ci sarà una legge di bilancio che dopo lo slancio dato al deficit si gonfia nelle cifre fino a orientarsi verso una forbice da 35-40 miliardi.
La lista della spesa contempla almeno 5 miliardi aggiuntivi per il reddito di cittadinanza, che ne ingloberà altri 5 già stanziati per reddito di inclusione e altri interventi di welfare. Lo stop alla legge Fornero, che ha contribuito parecchio ad agitare i toni del confronto nel governo e tornerà al centro delle trattative con Bruxelles, vale 8 miliardi per il primo anno anche dopo l’aumento da 36 a 38 anni del minimo contributivo per accedere a «quota 100». Intorno ai 4 miliardi pesa il pacchetto fiscale composto da mini-Ires, aumento delle soglie del regime forfettario e iper-super ammortamento. Ma in questo capitolo restano protagonisti i 12,4 miliardi di aumenti Iva da bloccare. Il conto si chiude con i 4 miliardi di maggiori costi per interessi, e con i circa 3 da dedicare alle spese indifferibili.
Con i 27 miliardi di deficit aggiuntivo rispetto al vecchio programma (120 miliardi in tre anni) restano quindi tra gli 8 e i 13 miliardi da trovare per altra via. L’una tantum della «pace fiscale» dovrebbe avere un ruolo di prima fila, anche perché per il resto (spending review, revisione delle tax expenditures e altre misure) le cifre in gioco restano leggere.
Per le prime linee del Mef è in calendario allora un altro fine settimana di lavoro sulla riscrittura della Nota di aggiornamento, che difficilmente sarà pubblicata prima di lunedì. La Nota andrà poi all’esame del Parlamento, che dovrà anche autorizzare a maggioranza assoluta (ma non ci sono ovviamente problemi) i nuovi obiettivi di deficit. Il voto sulla risoluzione è in calendario per il 10 ottobre, cinque giorni prima del termine per inviare alla commissione il progetto di bilancio (Dbp). E su quelle tabelle si giocherà la partita ufficiale con Bruxelles.