Capitalizzazione ai minimi, ora banche più contendibili
Per il balzo dello spread nel secondo trimestre già 36 punti base di Cet1 in meno
È come se ogni banca guardasse il livello della marea che inizia ad alzarsi: c’è chi è più in alto, e ha più margine, e chi sta più in basso, e allora ha meno tempo a disposizione. Certo è che per tutti, da ieri, lo spread fa un po’ più paura. L’approvazione della nota di aggiornamento al Def che prevede il deficit/Pil al 2,4% per tre anni ha riattivato un allarme che nelle ultime settimane sembrava essersi attenuato, nella speranza che il Governo varasse una manovra più cauta, ovvero il legame malato (e inverso) tra prezzi dei BTp e valutazioni delle banche. Non è un caso che in contemporanea al picco del differenziale a quota 280, le banche abbiano perso quote comprese tra il 6,73% di Unicredit e il 9,43% di Banco Bpm.
Nei prossimi giorni si capirà se quella di ieri è stata una reazione isolata, per quanto violenta. Oppure se l’incendio è destinato a divampare. Di sicuro il danno, per il settore, è fatto da tempo. Lo spread sovrano è passato dai 130 punti base medi del primo trimestre ai 240 circa del secondo trimestre. Abbastanza da far perdere alle banche quotate circa 36 punti base di Cet 1 ratio.
Il meccanismo con cui lo spread va a incidere direttamente sul capitale degli istituti è noto: alla fine di ogni trimestre - e ieri, per una coincidenza poco fortunata, si chiudeva il terzo trimestre dell’anno - le banche devono registrare il deprezzamento della riserva ad hoc. Ecco perché a ogni impennata dello spread (e coincidente calo dei Btp), le banche vanno giù. Il tema riguarda tutte le banche europee, ma il problema diventa esplosivo per le banche italiane che, con circa 160 miliardi di euro investiti in titoli di Stato, hanno in media un’esposizione doppia a quella che le banche di altri paesi europei hanno nei confronto del loro debito domestico. Secondo i calcoli di Credit Suisse, i principali istituti italiani hanno il 156% del loro patrimonio tangibile investito su BTp. Troppo.
Il dubbio che si va insinuando, tra gli addetti ai lavori, è che se la tensione sui titoli perdurasse, il comparto sarebbe esposto a rischi che fino ad oggi sembravano lontani. A partire da quello di nuovi rafforzamenti di capitale, soprattutto per le banche che oggi risultano più fragili. Una polarizzazione del mercato che è frutto delle diverse condizioni patrimoniali di partenza e delle diverse strategie di investimento sui BTp. Nei giorni scorsi, una ricerca firmata da Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim, metteva in evidenza come Intesa Sanpaolo e UniCredit vantino ampi livelli di sicurezza: dai livelli attuali, lo spread dovrebbe alzarsi rispettivamente di circa 250 e 520punti base prima di vedere scendere il Cet 1 ratio dei due istituti all’11%, livello considerato come una “comfort zone” da non sforare. Altre banche, come BancoBpm ad esempio, hanno uno dei buffer più risicati (pari a circa 60 punti base) sopra il pavimento indicato. E questo forse spiegherebbe anche l’andamento del titolo ieri in Borsa.
Ma non basta. Qualcuno nel settore mette in luce come, con quotazioni deprezzate, gli istituti scoprano il fianco al rischio di una maggiore contendibilità. La valutazione delle principali banche italiane è oggi pari a circa 0,6-0,7 volte il valore di libro, una quota superiore a quella registrata nella crisi sovrana del 2011, quando le banche valevano il 4050% del patrimonio netto. Difficile dire se oggi la minaccia di potenziali scalate sia reale o solo virtuale. Ma è chiaro che in una condizione di debolezza le banche siano anche più esposte agli appetiti dei compratori.