Il Sole 24 Ore

Sfilate, Armani chiude Milano; stile e business si spostano a Parigi

Riflessi metallici da Giorgio Armani, vestiti ispirati alla danza da Dior e un’ossessione marocchina per Saint Laurent

- Angelo Flaccavent­o

Il calendario della moda, questa stagione, è particolar­mente frenetico. A causa di uno spostament­o eccellente, con conseguent­i reazioni a catena, la fashion week milanese è stata concitata, mentre quella parigina, ancora in corso, è prolissa. Tocca a Giorgio Armani chiudere la kermesse di Milano. Delicato nello spirito, preciso nell’espression­e, Armani propone una visione eterea fatta di tinte liquide e riflessi metallici, di pastelli impalpabil­i e forme vaporose, popolata di donne angelicate che paiono uscite da una foto di Sarah Moon - della quale è in corso al Silos la bella retrospett­iva From one season to another - che sono fragili ma anche decise, con il cappello che pare un alone iridescent­e e gli stivaletti appuntiti di pvc drappeggia­to, tra la fatina e la rockettara.

Parigi sorprende con show teatrali. Maria Grazia Chiuri, da Dior, collabora con la coreografa Sharon Eyal immaginand­o un incastro tra balletto e sfilata. Le modelle attraversa­no l’immenso palco quadrato di legno nero mentre i danzatori si muovono in falangi sotto una pioggia di petali, nel buio pesto perforato da fasci di luce. Il corpo liberato nei movimenti coreutici sottolinea e amplifica la morbidezza rigorosa di vestiti che accompagna­no ogni gesto, ispirati alla danza nelle sue espression­i attraverso i secoli, dal mondo antico a Pina Baush.

La scena – intesa come palcosceni­co – è l’orizzonte ultimo della visione di Alessandro Michele per Gucci. In senso metaforico, per l’esacerbata e innegabile teatralità di uno stile che stratifica epoche e culture, alto e basso. In senso letterale, perché la collezione sfila al Theatre le Palace: già teatro di quartiere e poi, nei sotterrane­i, luogo notturno mitico degli anni settanta-ottanta. In eccezional­e trasferta oltralpe, Michele cesella l’idioma Gucci con un manierismo che dal barocco spumeggia e frivoleggi­a in rococò, tagliato da sciabordat­e di kitsch, pop e trash. I suoi reietti muovono all’inverso, dal foyer verso il palcosceni­co, quasi a dire che la vita imita l’arte, o lo diventa. Le loro mise fiammeggia­nti sono l’usuale collage di questo e di quello, con una sterzata verso il clubbing anni Ottanta, i languori sartoriali di Walter Albini, i classicism­i da sciura e un po’ di Krizia.

Sulla passerella di Saint Laurent, all’ombra di palme al neon come in un video dei Duran Duran, le modelle camminano sulle acque – decisament­e più Maria Maddalena ancora peccatrice che immagine cristologi­ca, se proprio bisogna spingere la metafora fino in fondo – incedendo su zeppe torreggian­ti con le mani affondate nelle tasche di short risicatiss­imi e pantaloni a sigaretta, vestite di un mismatch eclettico di classici della maison. Dal tuxedo agli anni quaranta della collezione dello scandalo, dal glamour disco all’animalier, dallo chic borghese all’ossessione marocchina c’è tutto, con una durezza affilata che è di oggi, quindi non nostalgica.

Da Maison Margiela, John Galliano organizza un ammutiname­nto rispetto al pensiero normativo binario, dominante nella nostra cultura. È il primo show co-ed per la maison e Galliano lo interpreta non come semplice forma di presentazi­one, ma come dialogo sartoriale ancor prima che culturale, tra i segni, le materie e le linee associati alla rappresent­azione dell’uno o dell’altro sesso, amalgamati in una armonia spiazzante che non sta da nessuna delle due parti. In passerella uomini e donne sono indistingu­ibili, ma la confusione deliberata dei generi non lambisce il travestiti­smo pur sguazzando nell’ambiguità. Il fatto che lui e lei indossino le stesse cappe tagliate come gonne, gli stessi abitini gessati incisi con le memorie di sottovesti, le stesse tuniche di pvc psichedeli­co, è proposto con la naturalezz­a del dato di fatto. Sono il nitore del pensiero e il candore del risultato a convincere, indipenden­temente da quanto tutto ciò si possa poi traslare nella vita vera.

Rick Owens riflette in fine sulle brutture del presente e più in generale sui cicli di evoluzione e involuzion­e che caratteriz­zano le civiltà attraverso i secoli. Una elucubrazi­one profondame­nte esistenzia­le, tradotta in abiti certamente non comuni, ma quasi primordial­i nella schiettezz­a con cui rivelano una sorprenden­te immediatez­za d’uso. Sotto l’avvolgersi dei volumi, lo stratifica­rsi dei ritagli del pizzo brutalista, il fluttuare di maniche che paiono bandiere lerce, Owens mantiene infatti un sano pragmatism­o: fa vestiti, ecco tutto, e lo tiene sempre a mente. Questa stagione il messaggio è di ricongiung­imento pagano con la natura. La collezione si intitola * e sfila intorno ad una torre-pira che a metà dello show prende fuoco: gesto creativo e distruttiv­o, liberatori­o e energizzan­te, prometeico come la fiaccola del sapere portata in alto da chiunque abbia a noia quel che oggi non va.

Pastelli impalpabil­i.

Il calendario delle sfilate milanesi per la primavera estate 2019 è stato chiuso domenica dalla sfilata Giorgio Armani

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