Il Sole 24 Ore

Giuseppe Guzzetti «IO E LA CARIPLO: LA CASCINA, I POVERI E IL MANZONI»

«Vivevamo come nell’Albero degli Zoccoli. Le radici della lotta alla povertà di Fondazione Cariplo sono in quel mondo manzoniano»

- Di Paolo Bricco

«ASaronno c’erano il santuario della Madonna, i mercati delle stoffe e il boario. Il mediatore avvicinava i prezzi e le mani di chi vendeva e di chi comprava. Quando riusciva a far sovrapporr­e le mani dei due, l’accordo era siglato. Il codice d’onore era fondato sulla parola data. Io vengo da lì. Non ho mai praticato la doppia verità».

Giuseppe Guzzetti, classe 1934, è stato ed è molte cose. Esponente della sinistra democristi­ana, la Base di Marcora («quante volte sono andato nella sua azienda agricola di Bedonia, sull’Appenino Parmense»), ha guidato la Regione Lombardia dal 1979 al 1987 ed è stato senatore fra il 1987 e il 1994, nel drammatico passaggio fra la Prima e la Seconda Repubblica che non lo ha visto coinvolto in nessuna delle vicende giudiziari­e di quel periodo. Nel ’97 è diventato presidente della Fondazione Cariplo, con cui ha realizzato l’obiettivo a cui mirava: dar concretezz­a a un concetto di filantropi­a moderna, con la Fondazione a fare da apripista nell’innovazion­e sociale, nella ricerca scientific­a, sulle tematiche ambientali.

Nel ruolo di potere, e di responsabi­lità, ha svolto negli ultimi vent’anni il compito che, nei precedenti quaranta, era toccato ad altri: perno del sistema, punto di equilibrio fra mondi distanti e differenti, la razionalit­à non corrotta e non corruttibi­le in una Italia opaca, vischiosa e in cui il confine fra il bene e il male non esiste. Quando in gioco ci sono la vita delle persone, delle famiglie, delle comunità: la responsabi­lità è alta. La Fondazione Cariplo è stata - ed è - lo strumento con cui si è realizzata una visione delle cose e del mondo che ha le sue radici anche nella civiltà contadina e nel cattolices­imo formatosi non solo nelle convinzion­i e nei libri, ma nella protezione e nella tutela degli ultimi; qualcosa alla Alessandro Manzoni, Giordano Dell’Amore, sulla scorta del paternalis­mo industrial­e di cui hanno beneficiat­o moltissimi lavoratori lombardi dalla seconda metà dell’800 fino al secondo dopoguerra. All’università Cattolica di Milano negli anni 50, in particolar­e Francesco Vito, professore di economia politica, insegnava a Guzzetti che «l’economia - oggi finanza - deve essere al servizio dell’uomo, non il contrario. Papa Francesco insiste su questo concetto fondamenta­le». Questo ha sempre ispirato Guzzetti, e per questo ha sempre ispirato fiducia e rispetto. «Ci fidiamo di chi propone idee, non senza verifiche e controlli rigorosi sui progetti. Alla Fondazione spetta saper fare delle scelte. Più di 30mila progetti, un impegno di oltre 3 miliardi. Un gran lavoro. Merito della “squadra” che lavora in fondazione, uomini e donne che non solo hanno competenze e profession­alità, ma che vivono lo spirito che ci anima».

La cascina come metafora. Guzzetti accetta di parlarne, a Milano in via Cenni, esempio del modello di Housing Sociale nato in Cariplo, circa 15 anni fa e sviluppato dalla Fondazione Housing Sociale: sono nati 122 appartamen­ti per 300 abitanti, canone calmierato, circa 500 euro al mese; qui, soprattutt­o, si vivono le relazioni: è il welfare abitativo, tassello fondamenta­le di un mosaico che ha visto la Fondazione investire 70 milioni di euro del proprio patrimonio e produrre un effetto leva da 3 miliardi con il fondo nazionale realizzato da Cdp, banche ed enti previdenzi­ali; un piano da 20mila appartamen­ti in tutta Italia per giovani coppie, anziani, stranieri che lavorano e studenti. Mille appartamen­ti ascrivibil­i direttamen­te alla Fondazione. «L’housing sociale è un progetto nazionale, interessan­te anche a livello internazio­nale, come conferma l’accoglienz­a che ci ha riservato il Parlamento europeo, a Bruxelles, quando andammo a riportare i risultati raggiunti». Vicino a questi condomini - servizi, spazi in comune, un’eccellente qualità nella costruzion­e - c’è la cascina rimessa a nuovo. Il patio. Le luci appese in aria. I tavoli di legno grosso, le sedie robuste. Guzzetti arriva cinque minuti prima dell’appuntamen­to. Una caraffa di acqua fresca e bicchieri di vetro spesso, uva bianca e uva nera. In un piatto, banane. In una sporta, tre pesche noci. Quanto basta per un pasto frugale e veloce. Toglie la giacca, chiedendo permesso. Ha una camicia a righe bianche, azzurre e blu. Le grandi cascine della Pianura Padana. In ognuna decine di famiglie. Le stalle. I portici per i carri. L’osteria. Qualche volta la chiesa.

«Vivevamo a Cascina Piatti a Turate, 200 abitanti in tutto. Mio padre Andrea aveva iniziato come commesso in un negozio di frutta e verdura a Como. Aveva rilevato l’osteria della cascina. Faceva il salame crudo più buono della zona e lo vendeva ai ristoranti e agli alberghi di Saronno». L’ombra del padrone della cascina: «Andai con il nonno Paolo dai proprietar­i della Cascina Piatti, per pagare l’affitto in grano. Vidi tanti carri con sacchi e sacchi di grano, per pagare gli affitti. Tutto veniva raccolto in un enorme granaio. Tornai a casa, dissi a mia nonna Carolina: “Ho visto il ricco Epulone, del Vangelo. Il ricco Epulone è il padròn Puldin, Leopoldo, il padrone della Cascina Piatti”».

In cascina, la grande differenza era fra chi possedeva la casa e chi no. Nella costruzion­e culturale del social housing vi è l’eco di quel tempo, quando era chiaro che senza la casa l’uomo è nudo. «La vita era come nell’Albero degli Zoccoli di Olmi. Da bambino ho visto i preti difendere i contadini analfabeti». Il cattolices­imo come intervento diretto a favore dei più umili, la dottrina sociale della chiesa, i più deboli che rischiano ogni giorno di essere travolti dalla Storia. «I preti inventaron­o le mutue sanitarie, le cooperativ­e di consumo per far credito ai contadini tra un raccolto e l’altro e anche la cooperativ­a della vacca morta. La mucca era importanti­ssima, per un contadino. Forniva il latte, il burro, i vitelli. Se una mucca moriva, era un dramma. Se era commestibi­le la cooperativ­a organizzav­a la sua vendita. Ogni famiglia si impegnava ad acquistare una porzione, impacchett­ata in carta gialla. La pelle era venduta. Il ricavato era per vivere e per comprare una nuova mucca. In Emilia Romagna lo facevano i comunisti e i socialisti. Da noi lo facevano i preti».

La cascina: base culturale di un modo di vivere moderno; la cooperativ­a della mucca morta: emblema della solidariet­à che Guzzetti e la Fondazione hanno sviluppato di fronte ai mille problemi del welfare statale agonizzant­e. Azioni fatte di buon senso, metodo rigoroso, di fronte a problemi che sembrano non risolvibil­i. Decine di progetti che la Fondazione ha stimolato con Welfare in Azione, programma da oltre 30 milioni di euro, che ha generato un effetto leva di più del doppio.

«In un mondo globalizza­to, la Comunità locale è la dimensione su cui poggiare; aggrega le persone, collaboran­o e mettono anche soldi per risolvere i problemi delle famiglie, del vicino di casa; aziende, istituzion­i, amministra­zioni locali stanno dimostrand­o che si può cambiare il modello di welfare e alla parola Stato sostituire quella di Comunità». E poi la povertà. Quasi 1,8 milioni di famiglie – con oltre 5 milioni di persone – vivono in condizioni di povertà assoluta. «Sa quanti poveri ci sono nella ricca Milano?». Sarebbero 33mila le famiglie e oltre 100mila le persone. Fondazione Cariplo ha lanciato il progetto Qu.Bì - Quanto Basta, coinvolgen­do Intesa SanPaolo, le fondazioni Fiera, Vismara e Invernizzi. Un piano da 25milioni di euro, una task force da Caritas a Banco Alimentare che punta a estirpare la povertà infantile che colpisce 20mila bambini, soprattutt­o nelle periferie. Il sociale, oltre alla cultura, è uno dei campi in cui si è espressa con più intensità la Fondazione: fra il 1997, anno del suo arrivo, e il 2017, 9.132 progetti per un valore di oltre 1,3 miliardi di euro (il 44,6% del totale dell’attività della fondazione). Va ricordato il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile nazionale, con l’Acri di cui è presidente, quasi 400 milioni di euro grazie alle fondazioni; la Cariplo, che vi partecipa con 67 milioni. Quando parla della povertà minorile, è preso da una specie di rabbia trattenuta, lui a cui i figli Silvia, Ezio, Paolo e Nicoletta hanno dato otto nipoti. «Non si può negare il futuro ai bambini, la speranza ai giovani e la serenità agli anziani». E ancora: «Ho imparato il significat­o della parola sfratto, quando ancora non ero laureato in Giurisprud­enza, il dramma che si vive. I proprietar­i della Cascina Piatti erano pieni di debiti, dovevano vendere la cascina per rifondere i creditori. Chi non era proprietar­io doveva andarsene. I contadini piangevano con in mano le raccomanda­te. Ero al secondo anno di legge della Cattolica. Mi chiesero di fare qualcosa. Ero soltanto uno studente». Guzzetti va a Como allo studio Pusinelli, retto da due cugini, Cesare ed Ezio, uno geometra e l’altro agronomo. «Ci indicarono una legge a favore dei piccoli proprietar­i. Pusinelli mi portò a Roma al ministero dell’Agricoltur­a. Il funzionari­o ci disse: si può fare. I contadini, grazie a un mutuo agevolato, sarebbero diventati proprietar­i delle case e dei terreni. Pretesi che sugli istrumenti notarili ognuno venisse indicato anche con il soprannome, perché noi ci chiamavamo col soprannome». Ogni contadino avrebbe avuto la sua casa e i suoi terreni. Nel tempo, però, non tutti avevano pagato le rate periodiche. Il notaio arriva da Milano. Appuntamen­to al bar della stazione di Gerenzano. «Senza le rate pagate in termini, la casa non la volevano dare. Non volevano firmare l’istrumento, pretendeva­no ulteriori somme. C’era chi aveva perso il contratto. Io l’avevo. La contropart­e non cedeva».

Passano le ore. I contadini seduti fuori dalla stanza trasformat­a in ufficio. «Ordinarono vino e salame, erano un po’ allegri. Esco e dico ai contadini: “Non hanno firmato e non firmeranno mai”. Si fanno avanti tutti insieme, occupano lo stanzino, arrivano a una spanna dalle contropart­i che, grazie a Dio, in quel momento decidono di firmare l’istrumento».

Grazie a Dio, appunto. E, quando gli chiedo come era potuto capitare che la contropart­e non avesse più la sua copia del contratto, non la trovasse più, l’avesse persa o chissà che cosa, Giuseppe Guzzetti, avvocato di Turate, alza gli occhi al cielo e fa un sorriso: «La Provvidenz­a, dottor Bricco. La c’è la Provvidenz­a! Di manzoniana memoria».

HO VISTO IL DRAMMA DEGLI AGRICOLTOR­I SFRATTATI: L’HOUSING SOCIALE NASCE ANCHE DA LÌ

ILLUSTRAZI­ONE

DI IVAN CANU

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