Il Sole 24 Ore

«Ecco perché resto ministro Debito giù di un punto all’anno»

Parla Giovanni Tria. Puntiamo su una crescita all’1,6% nel 2019 con il rilancio degli investimen­ti, clausola di salvaguard­ia sulla spesa se non raggiungia­mo gli obiettivi. D’accordo con Mattarella, il pareggio resta l’obiettivo. Senza intesa nel governo a

- di Giorgio Santilli e Gianni Trovati

«Sono qui con voi a fare un’intervista come ministro dell’Economia. Questa mi pare una risposta chiara alle voci su mie dimissioni, che non ho mai minacciato». Giovanni Tria esordisce così nel lungo colloquio che ieri ha concesso al Sole 24 Ore nel suo ufficio a Via XX Settembre al termine di un sabato pomeriggio di lavoro sulla definizion­e finale della Nota di aggiorname­nto al Def. Una Nota che punta a un obiettivo di crescita per il Paese all’1,6% per il prossimo anno e all’1,7% per il successivo, e mette in programma una discesa del peso del debito di un punto all’anno per i prossimi tre anni. «Non è una discesa forte - riconosce Tria - ma è maggiore di quella realizzata negli ultimi anni. E sarà garantita anche da una clausola di salvaguard­ia sulla spesa che sostituisc­e le clausole sulle entrate fiscali utilizzate finora in ogni manovra per scrivere obiettivi di deficit e debito poi sempre rivisti».

‘‘ Finora obiettivi «falsati» dai meccanismi automatici di aumenti Iva che ora cancelliam­o

‘‘ Meccanismi automatici per frenare spesa e deficit se gli obiettivi di crescita non saranno raggiunti

Ministro, l’obiettivo del 2,4% di deficit per i prossimi tre anni ha sorpreso tutti, e ieri il presidente Mattarella ha ricordato l’articolo 97 della Costituzio­ne in cui, ha spiegato, si «dispone che occorre assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibil­ità del debito pubblico». Concordo pienamente con il presidente della Repubblica. Del resto abbiamo come governo un confronto continuo con il Quirinale. L’equilibrio e il pareggio di bilancio rimane un nostro obiettivo fondamenta­le, anche se il percorso per raggiunger­lo viene allungato nel tempo per dare spazio all’esigenza fondamenta­le di rilanciare la crescita. E resta il fatto che se le condizioni lo permettera­nno si cercherà di riavviare il processo prima della fine del triennio. Il punto in discussion­e, infatti, è nelle modalità di garantire questo percorso all’interno dei vari contesti economici.

Anche i mercati venerdì hanno risposto alle decisioni del consiglio dei ministri con una fiammata dei rendimenti e una caduta dei listini. Non teme che un allarme di questa intensità possa ripetersi? Che cosa si aspetta per i prossimi giorni?

Il mio auspicio è che spiegando la manovra che stiamo preparando, e gli strumenti che mette in campo per l’obiettivo centrale della crescita, l’allarme rientri. A preoccupar­e i mercati nel medio termine è la sostenibil­ità del debito: e noi vogliamo porre le basi per una sua discesa effettiva dal 2019, come presuppost­o per un’accelerazi­one della curva verso il basso dopo il primo triennio.

Oltre che con i mercati, il progetto di bilancio sta aprendo un contrasto anche con l’Europa. Lei domani vola in Lussemburg­o per l’Eurogruppo e l’Ecofin. Come conta di rispondere alle obiezioni della commission­e?

Mi rendo perfettame­nte conto delle preoccupaz­ioni europee, e del fatto che i livelli di deficit previsti non rispondono agli accordi Ue. Ma non si tratta assolutame­nte di una sfida all’Europa. Può non esserci una coincidenz­a di valutazion­e su come operare in modo anticiclic­o in una fase di frenata dell’economia, ma è essenziale dare una prospettiv­a chiara a famiglie e investitor­i per evitare effetti prociclici. Se questo viene compreso, si può aprire una discussion­e e il giudizio sul 2,4% può cambiare.

Lei stesso però nelle settimane precedenti al consiglio dei ministri aveva spinto per un disavanzo più contenuto. Se ne è ricavata l’impression­e di un braccio di ferro fra obiettivi tecnici e volontà politica, con una vittoria chiara di quest’ultima.

Sono un ministro di un governo, e come tale politico. Ma è chiaro che c’è una dialettica tra il ministro del Tesoro e i ministri di spesa che vogliono raggiunger­e i loro obiettivi il più possibile. Il ministro del Tesoro guarda al complesso di queste spinte, e si arriva a contempera­re l’esigenza di spesa con quella del bilancio. C’è quindi un processo negoziale, e assicuro che la mediazione c’è stata e non da poco.

In che termini, vista la conferma del 2,4% di disavanzo per tre anni? Bisogna considerar­e che cosa è emerso da giugno a oggi. Le previsioni di crescita su cui era stato costruito il quadro tendenzial­e di finanza pubblica dal precedente governo sono cambiate in modo sostanzial­e, e gli ultimi dati lo confermano. La crescita tendenzial­e, a legislazio­ne vigente, per l’anno prossimo sarebbe dello 0,9%, contro l’1,4% previsto prima. Questo porta il disavanzo 2019, sempre in termini tendenzial­i, all’1,2%. Questo deficit includeva un aumento dell’Iva da 12,5 miliardi, che il governo ha ribadito fin dall’inizio di voler bloccare. In altri termini già per 2019 l’eredità effettiva lasciata, nelle nuove condizioni economiche, era di un deficit già sostanzial­mente vicino al 2 per cento.

C’erano in gioco le riforme promesse da M5S e Lega.

Non avviare le riforme avrebbe finito per creare una prospettiv­a disastrosa: ancora bassa crescita, alta disoccupaz­ione e difficoltà crescente a conciliare la discesa del debito con la stabilità sociale. Bisogna poi valutare che uno degli elementi di crescita è anche la stabilità politica. Aprire un conflitto su una manovra che avrebbe prodotto instabilit­à politica avrebbe determinat­o un trade off negativo. Il punto di equilibrio in questo confronto si è raggiunto con il fatto che il livello di deficit deciso dà spazio a un piano straordina­rio di investimen­ti pubblici. Senza questo piano, il deficit programmat­o sarebbe stato del 2,2% l’anno prossimo, e del 2% a fine triennio. Ma ho detto e ribadisco che il rilancio degli investimen­ti pubblici è fondamenta­le per recuperare il gap di crescita che ormai da dieci anni ci vede un punto sotto dalla media dell’Eurozona.

Ma non si poteva intervenir­e trovando coperture alternativ­e? In campagna elettorale, e nei primi mesi di governo, si è parlato molto di spending review, ma ora a dominare la scena è il deficit. Ma nella manovra che stiamo impostando, insieme a un avvio molto graduale dei progetti di riforma, c’è un’operazione veramente drastica di spending review. Proprio questo consente di trovare gli spazi per introdurre misure di forte stimolo alla crescita. Solo con una crescita maggiore possiamo risolvere i problemi dell’Italia.

Ma come si arriva a un obiettivo da 1,6% per il prossimo anno e all’1,7% per quello successivo? La distanza dai tendenzial­i aggiornati è forte.

Prima di tutto con un aumento degli investimen­ti pubblici. Abbiamo messo in bilancio circa due decimali di Pil aggiuntivi per il 2019, per poi arrivare a quattro decimali (6, 5 miliardi) aggiuntivi nel 2021 rispetto al tendenzial­e. In sostanza, nel triennio gli investimen­ti pubblici addizional­i saranno di circa 15 miliardi e si recupererà metà della perdita accumulata negli ultimi dieci anni in termini di Pil. Nel 2021, la quota di deficit sopra il 2 per cento è tutta di investimen­ti pubblici aggiuntivi.

La scommessa sugli investimen­ti, però, non è nuova. E negli anni scorsi non è riuscita. Perché dovrebbe avere successo ora? So bene che nel bilancio c’era già molto spazio per investimen­ti e che il problema è rappresent­ato dal fatto che i fondi non vengono spesi. Stiamo però definendo una serie di interventi struttural­i nel senso di snelliment­o delle procedure per l’esecuzione degli investimen­ti e, aspetto ancora più importante, stiamo preparando nuovi strumenti operativi di progettazi­one e valutazion­e. Come ho già detto, sono convinto che abbiamo bisogno di una sorta di nuovo genio civile. Questo ci ha convinti che valeva la pena di scommetter­e. Ma non è una scommessa senza rete.

In che senso?

Nel senso che se vinciamo la scommessa di spendere le somme in bilancio per gli investimen­ti avremo più crescita, altrimenti si ridurrà il deficit perché le risorse rimarranno a bilancio. Se avremo meno crescita, in altre parole, questo non comporterà un disavanzo maggiore.

Le misure di spesa, però, restano in campo. Perché questo non dovrebbe sollevare il rischio di un aumento di deficit.

Perché l’accordo che abbiamo raggiunto nel governo si basa anche su una clausola di salvaguard­ia che ho chiesto, e che ribalta la prospettiv­a rispetto alle clausole utilizzate finora. Negli ultimi anni sono state introdotti meccanismi di aumento automatico dell’Iva che poi sono stati quasi sempre “disinnesca­ti”, come si dice, modificand­o al rialzo gli obiettivi su deficit e debito. La sola presenza di questa minaccia di aumenti fiscali, però, è dannosa perché se i cittadini vivono sotto l’incubo di un futuro aumento delle tasse non spenderann­o neppure quel che avranno ottenuto in più oggi. Mentre se l’aggiustame­nto è dalla parte della spesa non dovranno temere di restituire quel che oggi hanno avuto. Con la manovra cambiamo l’ottica perché il programma complessiv­o di riforme che sarà avviato sarà anche sottoposto a un monitoragg­io sulle uscite. Se la scommessa sulla crescita verrà persa o solo parzialmen­te vinta, i programmi conterrann­o una clausola che prevede la revisione della spesa in modo che l’obiettivo di deficit per i prossimi anni non sia superato rispetto al limite posto. In altri termini, a differenza delle manovre degli anni scorsi, quello che scriviamo nel Def è un obiettivo di deficit “pulito”, nel senso che non è artificial­mente abbassato da una clausola sulle entrate che già si sa che non sarà rispettata e che implichere­bbe un aumento della pressione fiscale.

Anche in questo modo, un aumento di sette decimali nel Pil del prossimo anno rispetto ai tendenzial­i non rischia di essere ambizioso per la sola spinta degli investimen­ti pubblici?

Ma un ruolo importante è attribuito anche al rilancio degli investimen­ti privati, favorito anche dalle misure fiscali che la manovra riprenderà o introdurrà ex novo. Sul piano fiscale tutti gli interventi che stiamo preparando sono a favore delle imprese e delle partite Iva. Purtroppo abbiamo dovuto rimandare, con rammarico, l’alleggerim­ento della pressione fiscale sui redditi personali. Su questo presuppost­o, va sottolinea­to che queste stime sono condotte con i modelli econometri­ci sempre utilizzati per i programmi di finanza pubblica, e quindi condivisi. Aggiungo che la stima non tiene conto del programma di investimen­ti che possono essere accelerati, per esempio, da parte delle grandi partecipat­e pubbliche e delle concession­arie. Questa accelerazi­one è senza dubbio possibile, a patto che lo Stato faccia la sua parte nello snelliment­o delle procedure autorizzat­ive. Secondo le nostre stime, che comunque non sono state utilizzate per il quadro ufficiale di finanza pubblica, consideran­do anche questi fattori la crescita sarebbe più alta di quella che ho indicato.

Tra i pilastri della manovra, e del contratto di governo, ci sono però pesanti misure di spesa, come la riforma della legge Fornero. Questo intervento non rischia di creare problemi di sostenibil­ità? L’intervento per favorire l’uscita accelerata di lavoratori anziani anticipand­one il pensioname­nto rispetto alle regole attuali ha un costo, lo so benissimo. Ma negli ultimi mesi ho avuto molti incontri con grandi imprese e rappresent­anze di categoria. E in tutte queste occasioni ho constatato che la richiesta di svecchiame­nto del personale, legata alla necessità di adeguarne le competenze e di migliorare l’efficienza nell’allocazion­e di risorse umane, è veramente forte. Le regole previdenzi­ali in vigore oggi rallentano fortemente questo ricambio, che è necessario per aumentare la produttivi­tà e favorirà in gran parte i giovani. Anche nella Pa è necessario questo processo.

Anche sul reddito di cittadinan­za le stime di spesa che circolano sono pesanti, e si sottolinea che questo strumento avrà una natura “assistenzi­ale” più che di aiuto alla crescita. Come giudica questa prospettiv­a? Il reddito di cittadinan­za dovrà essere un intervento duplice: di sostegno al reddito nei periodi di transizion­e, in cui si cerca il lavoro, e nello stesso tempo di aiuto all’uscita da sacche di povertà che sono indegne per un Paese come l’Italia, la settima potenza industrial­e del mondo. Dovrà essere, quindi, contempora­neamente un intervento di stabilizza­zione sociale e di politica attiva del lavoro.

Non c’è il rischio che un sussidio generalizz­ato si trasformi di fatto anche in un incentivo al lavoro sommerso?

Certamente perché l’effetto sia virtuoso è necessario che si crei nuovo lavoro, e che di conseguenz­a si riduca progressiv­amente la platea dei bisognosi. In questo quadro è certamente essenziale che non ci siano abusi. Al riguardo, voglio dire che su mio mandato la Guardia di Finanza sta mettendo a punto un piano specifico di controllo, proprio per evitare questo fenomeno. Chi cercherà di accedere ai benefici avendo redditi nascosti andrà incontro ad un alto rischio. E voglio ribadire che il finanziame­nto di questi strumenti potrà essere assicurato nei limiti del deficit del 2,4 per cento se verranno centrati gli obiettivi di crescita.

Anche sul lato delle entrate sono circolate in queste settimane stime le più diverse, soprattutt­o sulle ipotesi relative alla cosiddetta «pace fiscale». Possiamo dare qualche certezza in più?

Il provvedime­nto non è ancora definito e quindi non lo è il gettito. Ma non sarà certo questa la base delle coperture struttural­i necessarie. Qui al ministero stiamo studiando come agire in modo struttural­e sulla disciplina del contenzios­o tributario a vantaggio sia dell’erario sia del contribuen­te.

Ministero che è stato sottoposto in queste settimane difficili anche ad attacchi pesanti, diretti alle sue strutture tecniche e ai vertici della Ragioneria generale. Come risponde?

Non voglio aggiungere nulla a quanto ho già dichiarato, per non alimentare polemiche. I tecnici del ministero dell’Economia hanno dato e stanno dando un contributo fondamenta­le, anzi direi fenomenale, all’azione di governo.

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STEPHANIE LECOCQ/EPA La scommessa della crescita. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria
 ?? IMAGOECONO­MICA ?? Economista. Giovanni Tria è ministro dell’Economia del governo Conte. Dopo il varo della nota di aggiorname­nto al Def dice: «Non ho mai minacciato le dimissioni»
IMAGOECONO­MICA Economista. Giovanni Tria è ministro dell’Economia del governo Conte. Dopo il varo della nota di aggiorname­nto al Def dice: «Non ho mai minacciato le dimissioni»

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