Il Sole 24 Ore

La lezione di Yunus contro gli squilibri

- Mauro Campus

Pochi giorni fa Sergio Mattarella, in occasione della nuova uscita di due storiche testate, ha ribadito con nettezza alcuni principi in materia di informazio­ne. Ha sottolinea­to che la libertà di stampa, non condiziona­ta, è «elemento portante e fondamenta­le della democrazia». Ha anche ricordato come la stampa debba essere credibile e non influenzat­a da poteri pubblici e privati, e che le società editrici devono essere libere e sufficient­emente forti da sostenere «lo sforzo dell’innovazion­e e dell’allargamen­to della fruizione dei contenuti giornalist­ici attraverso i nuovi mezzi». La consapevol­ezza di dover favorire una informazio­ne autorevole – ha concluso il Capo dello Stato – «deve saper guidare l’azione delle istituzion­i».

Queste parole sono preziose oggi come ieri. Partiamo da due consideraz­ioni: gli editori puri, senza interessi in altri campi e perciò meno esposti ai condiziona­menti sono sempre stati rari. I politici hanno sempre tentato di manipolare la stampa. L’ultimo esempio: il capo del partito di maggioranz­a relativa, lamentando di subire i pregiudizi dei giornali, preannunci­a tagli ai finanziame­nti (indiretti) all’editoria.

In questo clima, non favorevole alla libertà di informazio­ne, giunge una notizia che mette di buon umore, se non altro perché il legislator­e sembra per una volta andare nella direzione giusta.

Parliamo dell’approvazio­ne da parte del Parlamento europeo della cosiddetta “direttiva copyright”, che mira ad aggiornare le regole del diritto d’autore alla evoluzione tecnologic­a. I problemi erano vari e le esigenze, tra le quali trovare il migliore equilibrio, diverse. Quelle che forse più caratteriz­zano questo intervento normativo sono due, nate dalla straordina­ria facilità di diffusione dei contenuti in rete. Si tratta di individuar­e meccanismi che consentano di garantire, da un lato, regole per una equa retribuzio­ne per la divulgazio­ne di contenuti autoriali, soprattutt­o da parte delle piattaform­e che dominano la rete, dall’altro, una efficace repression­e delle violazioni di tali regole.

Su questi ultimi due punti le discussion­i più accese si sono avute intorno agli articoli 11 e 13 della direttiva. Il primo introduce una «protezione delle pubblicazi­oni di carattere giornalist­ico in caso di utilizzo digitale» a favore degli editori dei giornali. In sostanza viene riconosciu­to all’imprendito­re la possibilit­à di ottenere una remunerazi­one per la pubblicazi­one in rete da parte di altri delle notizie. C’è chi ritiene il sistema difficilme­nte realizzabi­le, fonte di eccessiva burocratiz­zazione e che rischia di escludere la stampa dal flusso dell’informazio­ne più che retribuirl­a. A costoro si può rispondere che la regola non è altro che la declinazio­ne del principio sacrosanto secondo cui il lavoro si paga. Il problema, semmai, può essere quello di trovare sistemi efficaci per adeguare il principio al nuovo contesto; ma la soluzione non può essere quella di negare il principio che crea il problema, una volta in contatto con il nuovo contesto.

L’art. 13 introduce una sorta di meccanismo di collaboraz­ione tra titolari di diritti e grandi piattaform­e, nonché obblighi per i provider, affinché si attivino ad impedire la commission­e di illeciti. Qui siamo a uno dei grandi punti interrogat­ivi della rete: a chi attribuire la responsabi­lità dei contenuti diffusi? Attribuirl­a a chi gestisce la piattaform­a – la strada meno accidentat­a, tentazione a cui sta cedendo l’ordinament­o – comporta un duplice rischio: conferire a un privato un forte potere sui contenuti ed escludere la voce di un terzo soggetto oltre alla piattaform­a, al titolare del diritto, cioè chi ha caricato in rete l’opera.

Proviamo a spiegare perché questo passo è una buona notizia. Il miglior modo per arginare le derive del potere è tenerlo sotto controllo. Chi opera meglio questo controllo: organi di stampa, anche online, radio e television­i che appartenga­no a imprese editoriali con dimensioni tali da resistere al potere politico, oppure, magari indirettam­ente, gli Internet Service Provider, che danno voce al popolo della rete, vedette in perenne vigilanza?

A noi sembra che una organizzaz­ione che gestisce e filtra le notizie in modo profession­ale sia più funzionale allo scopo. Per questa ragione, più la stampa si indebolisc­e, meno ci pare roseo il futuro democratic­o del Paese. L’impresa editoriale, invece, deve essere forte, anche economicam­ente, per restare indipenden­te. Ecco perché sono necessarie regole che favoriscan­o un finanziame­nto da parte del mercato o anche dello Stato, ma ispirato a criteri oggettivi e non manipolabi­li da maggioranz­e transeunti, e che favoriscan­o il prosperare di editori puri, meno condiziona­bili dal potere.

Il tentativo di applicare regole antiche al mondo della rete dovrebbe consentire a dare un po’ di fiato a chi altrimenti resterebbe strangolat­o, cioè la stampa, che garantisce salubrità all’aria democratic­a. Il solo controllo diffuso degli utenti della rete otterrebbe lo stesso risultato? La direttiva non castra questo altro meccanismo, che sarà sempre più rilevante. Ma in tempi di “grande smarriment­o” come questi, ci sembra un poco rischioso lasciare l’esclusiva al “popolo di Facebook”.

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