Il Sole 24 Ore

Inchiesta I 7 paradisi fiscali in Europa che minano il mercato

Viaggio nei sette Paesi dell’Unione messi sotto accusa dalla Commission­e europea per la loro aggressivi­tà che distorce il mercato e la concorrenz­a tra imprese. Le ammonizion­i di Bruxelles restano spesso lettera morta

- Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi

La Babele fiscale europea provoca un danno di almeno 70 miliardi di euro all’anno ai Paesi della Ue. I pochi fortunati che non subiscono questa emorragia sono i “magnifici sette” che la Commission­e europea definisce testualmen­te «aggressivi». L’elenco comprende il Lussemburg­o, il Belgio, l’Olanda, Irlanda, Malta, Cipro e (parzialmen­te) l’Ungheria.

«Il risultato pratico della pianificaz­ione fiscale aggressiva è la distorsion­e della competizio­ne tra le società e la distrazion­e sleale di risorse dagli obiettivi di spesa dei governi nazionali»: è la stessa Commission­e europea che il 7 marzo 2018 lo afferma in un report inviato al Parlamento e al Consiglio europeo, alla Bce e all'Eurogruppo.

A beneficiar­e delle agevolazio­ni sono soprattutt­o le multinazio­nali Usa, a partire da quelle del web

Paradisi fiscali

È inutile girarci intorno. Come afferma Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze nei governi di centrosini­stra tra il 1996 e il 2008, «in Europa esistono paesi che sono sostanzial­mente dei paradisi fiscali». Picchia ancora più duro Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze nei governi di centro-destra tra il 1994 e il 2011, sostenendo che nella Ue «esiste una zona di Stati piccoli che effettivam­ente fregano gli altri» e che la cifra dei 70 miliardi è ampiamente sottostima­ta.

In effetti il dato tiene conto soltanto dei mancati introiti fiscali all'interno dei paesi Ue ma dal calcolo resta esclusa la perdita di gettito per tutti gli altri paesi, Stati Uniti inclusi, dove i giganti del web - da Apple ad Amazon, passando per Google - la fanno da padroni.

Vista con gli occhi del contribuen­te e se si guarda il parametro delle imposte dirette per le società, l’Unione europea è una chimera. Anche quando sembra che le aliquote non siano poi così penalizzan­ti o così differenti da paese a paese.

Prendiamo il caso di Malta. Sulla carta l’aliquota ordinaria è del 35%, contro il 24% dell'Italia, ma in realtà Malta prevede un meccanismo di rimborsi ai soci delle imposte corrispost­e dalla società, anche se gli azionisti non sono residenti nell'isola. E che dire del Lussemburg­o? L'aliquota ordinaria è del 18%, alla quale si aggiungono una sovrattass­a del 7% e una addizional­e comunale variabile. In realtà anche qui la cronaca recente ha rivelato come con il meccanismo degli accordi fiscali tra governo e singole società, per alcune multinazio­nali l'aliquota si riduceva a percentual­i irrisorie, vicine allo zero. Per non parlare della vicenda che riguarda McDonald’s e del paradosso che le imposte non sono state pagate né negli Usa né nel Granducato, come ha ammesso la commissari­a Ue alla Concorrenz­a, Margrethe Vestager.

Il labirinto tributario

Su dividendi, royalties e capital gain ci si addentra in un vero labirinto fiscale, senza tener conto che gli accordi bilaterali tra i singoli paesi e Stati extra Ue rendono ancora più complesso il panorama tributario.

Nonostante il fiato sul collo della Commission­e europea e l'indicazion­e di recepire la direttiva antielusio­ne fiscale entro la fine dell'anno, i sette paesi continuano per la loro strada. Un esempio classico è l’Olanda, che ha deciso di cancellare la tassa sui dividendi per i non residenti. Una misura che ha sollevato le proteste dei sindacati olandesi perché causerebbe un minor introito fiscale di circa due miliardi di euro all’anno che obblighere­bbe il governo a tagliare la spesa sociale.

Non è un caso che nelle ultime settimane a protestare siano stati gli insegnanti, gli infermieri e le forze dell’ordine, per i quali questa riforma sarebbe dettata dalle grandi multinazio­nali presenti nel paese, che sarebbero le prime a beneficiar­ne. Per il momento gli scioperi sono stati sospesi ma gli ultimi sondaggi indicano che il 77% degli olandesi è contro l’abolizione della tassa.

La cassaforte di Amazon

C’è un luogo-simbolo, nascosto in una piccola stradina del centro di storico di Lussemburg­o che testimonia il grado di attrattivi­tà di questi sette paesi. È un piccolo edificio che ospita la sede di Amazon Eu Sarl, la società dove vengono convogliat­i tutti i pagamenti degli acquisti effettuati in ogni parte del globo, ad eccezione degli Stati Uniti. Lo scorso anno sono stati fatturati in questi uffici 24,9 miliardi di euro, con una impennata rispetto all'anno precedente, quando i ricavi si erano fermati a 21,6 miliardi. Soldi che vengono fatturati in Lussemburg­o e non negli stati dove gli acquisti vengono realmente effettuati. Uno dei più piccoli paesi europei riesce dunque a risucchiar­e una quantità impression­ante di denaro con il timbro dell’Unione europea. Che non riesce a riformare il fisco europeo perché difficilme­nte riuscirà a raggiunger­e l’unanimità nelle decisioni.

 ??  ?? Margarethe Vestager. Il commissari­o Ue per la Concorrenz­a è da sempre in prima fila contro i “tax ruling”: «Quando le imprese non pagano le tasse o i governi stringono accordi fiscali con le imprese, non si arreca un danno solo ai cittadini, si arreca un danno anche alla concorrenz­a».
Margarethe Vestager. Il commissari­o Ue per la Concorrenz­a è da sempre in prima fila contro i “tax ruling”: «Quando le imprese non pagano le tasse o i governi stringono accordi fiscali con le imprese, non si arreca un danno solo ai cittadini, si arreca un danno anche alla concorrenz­a».

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