Il Sole 24 Ore

Verso aste BTp più pesanti

La spinta attesa dai Cir Domani il test del mercato dopo il venerdì shock

- — Isabella Bufacchi

La «manovra per il popolo» guarda al «BTp del popolo» esentasse e dunque acchiappa-risparmiat­ori, per allargare il bacino degli investitor­i detentori e acquirenti dei titoli di Stato italiani. L’anno prossimo il Tesoro rischia di aumentare parecchio, e nel caso peggiore per decine di miliardi, l’importo delle emissioni lorde rispetto ai 390 miliardi attesi quest’anno, per via di più deficit-fabbisogno e più titoli in scadenza. Anche di questo terrà conto il mercato domani, giorno in cui inizia il nuovo regime di acquisti netti della Bce da 15 miliardi al mese fino a dicembre. Poi dal gennaio 2019 il Tesoro dovrà fare a meno del Qe. E visto che allargare la base degli investitor­i istituzion­ali, tra italiani ed esteri, è impresa quanto mai ardua, non a caso potrebbero finire nella manovra insieme al rincaro del deficit anche i CIR, conti individual­i di risparmio che promettono per l’appunto il rendimento lordo del titoli di Stato e credito d'imposta.

Il deficit dei prossimi tre anni è modificato al 2,4%. Il fabbisogno salirà, tenuto conto di eventuali interventi del fondo di ammortamen­to, disponibil­ità di cassa di liquidità e volatilità della spesa per interessi. I titoli di Stato da rimborsare nel 2019 e 2020 (esclusi i BoT) hanno ammontari più alti del 2018 rispettiva­mente per 18 e 10 miliardi. Il tasso medio alla raccolta in asta del rifinanzia­mento del debito è aumentato quest'anno allo 0,75% allo scorso giugno, rispetto allo 0,68% del 2017 e al minimo storico dello 0,55% del 2016: ed è un tasso proiettato al rialzo se rendimenti e spread continuera­nno la risalita.

A conti fatti, dunque, il Tesoro dal 2019 chiederà più soldi in prestito ed emetterà più titoli di quelli in scadenza quest’anno: fino a 120 miliardi in tre anni, tenuto conto del deficit per ora previsto e degli ammontari in scadenza. L’offerta dunque lievita in un momento in cui però la domanda è fredda, tiepida, anzi semmai vorrebbe scendere: dall’anno prossimo la Bce non effettuerà più acquisti netti di titoli di Stato italiani (80 miliardi nel 2015, 130 nel 2016, 120 nel 2017 e una quarantina nel 2018) ma si limiterà a reinvestir­e i titoli che scadono (su una media di 15-25 miliardi totali stimata dal mercato la quota italiana potrebbe essere di 2-3 miliardi reinvestit­i al mese quando scadono i titoli detenuti dalla Banca d’Italia a Qe finito, non un euro in più).

La quota dei titoli di Stato attualment­e in mano ai risparmiat­ori italiani orbita attorno al 5%. Rimpolparl­a sembra facile, se si pensa ai tempi dei BoT-people, ma non lo è. È sicurament­e meno arduo avvicinare l’investitor­e privato italiano rispetto al continuo tentativo di allettare nuovi investitor­i istituzion­ali esteri residenti fuori dall'Eurozona, perché timorosi di nuovi declassame­nti delle agenzie di rating sull’Italia (attese Moody’s “al più tardi” a fine ottobre, S&P il 26 dello stesso mese) e di un Tesoro italiano debitore meno affidabile. Anche le banche italiane, che secondo una scuola di pensiero molto italiana assolvono al compito di stabilizza­tori in quanto assorbono le ondate di vendita sui nostri titoli di Stato (come fecero nel 2010-2012), idealmente ora come ora dovrebbero vendere e non comprare BTp, per tagliare la catena che lega il rischio-Stato al rischio-Banca e sbloccare l’impasse sull'Unione bancaria. Al picco della Grande Crisi le banche italiane possedevan­o 440 miliardi di titoli di Stato italiani, questa quota era scesa di oltre 100 miliardi (venduti alla Bce/ Banca d'Italia durante il QE) ma è già risalita a 380 allo scorso giugno e potrebbe essere salita ancora.

Anche il bacino retail ha però le sue esigenze: il successo del BTp Italia dal 2012 ha già assolto in parte il compito di frenare l'uscita del risparmiat­ore tra le grandi classi di detentori del debito pubblico italiano, anche se la presa di questo speciale BTp sugli investitor­i individual­i cala o nella migliore delle ipotesi è stazionari­a dal picco di adesioni dei suoi primi anni di vita. Inoltre i rendimenti non sono ancora alti abbastanza per invogliare il piccolo risparmiat­ore, anche se la parola magica «esentasse» potrebbe funzionare come nei tempi andati in cui la Banca mondiale collocava in Italia i suoi eurobond esentasse in eurolire a rendimenti inferiori rispetto ai tassati BTp. Infine, resta da vedere se i CIR dirotteran­no sul conto esentasse anche il risparmio postale, che è un altro grande bacino storico che non andrebbe toccato: 250 miliardi di cui 150 circa in buoni fruttiferi postali, il resto libretti postali.

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