Se l’Italia non sostiene i suoi ricercatori
Stato & Ricerca. Investimenti diminuiti nel 20% in dieci anni, fughe di giovani all’estero (dove vincono i progetti italiani), assenza di budget certi e stabili. Eppure siamo il Paese dove si fanno più scoperte
L’istruzione e la ricerca universitaria in Italia sono state, con la crisi economica, fra gli ambiti più colpiti dai tagli alla spesa. È impietosa la fotografia del rapporto 2017 della Commissione europea su ricerca e innovazione: negli ultimi dieci anni gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo in Italia sono diminuiti di oltre il 20%. Nel 2015 rappresentavano appena lo 0,51% del Pil e, uniti agli investimenti privati, raggiungevano l’1,34%. Numeri lontanissimi da quel 3% del Pil in ricerca che rappresenta l’obiettivo del programma europeo Horizon 2020, il più grande fondo mondiale per la ricerca mai raccolto sotto un’unica autorità politica, con una dotazione di quasi 80 miliardi di euro in 7 anni. Nel triennio 2014-2016, il nostro Paese è secondo, dopo il Regno Unito, come numero di progetti inviati, ma scivola al ventunesimo posto, dopo la Romania, per progetti vinti.
Se guardiamo a un altro indicatore, quello dei dieci anni di investimento europeo nei prestigiosi bandi ERC (European Research Council), dei 751 progetti vinti da ricercatori italiani, 335 (il 45%) riguardano idee di studiosi italiani che hanno sviluppato o svilupperanno le loro ricerche in altri Paesi europei che li hanno accolti e dove investiranno i circa 2,5 milioni di euro dell’ERC. Anche l’esito dell’ultimo Starting Grant ERC (dedicato ai più giovani) parla chiaro: dei 42 italiani vincitori, 30 continueranno le ricerche in università estere. Non andò diversamente nel 2017. È sconvolgente scoprire che l’Italia è pressoché l’unico Paese con questo tragico saldo negativo: idee vincenti di giovani e brillanti ricercatori italiani che appartengono o apparterranno ad istituti di ricerca esteri.
Eppure, nel dissesto dei fondi nazionali in continua diminuzione, delle pratiche di reclutamento universitario a volte nebulose, degli stipendi irrisori, della burocrazia complessa e dei finanziamenti (a volte “eterni”) erogati senza valutazione e competizione, l’Italia dei “ricercatori che restano” continua a sbalordire in molti settori. Nature nel febbraio 2018 ricordava che l’Italia è il Paese europeo che ha maggiormente incrementato il proprio contributo al 10% delle scoperte scientifiche più citate al mondo. Questi sono solo alcuni dei risultati delle nostre università e centri di ricerca. Nessuna forza politica sembra accorgersene. Eppure l’alternativa alla nostra politica dei tagli sarebbe esistita, basta guardare agli altri Paesi: mentre l’Italia nel 2016 investiva in ricerca pubblica e privata 21,6 miliardi di euro, il Regno Unito ne spendeva 33, la Francia 50 e la Germania 92.
Sono questi i Paesi che accoglieranno molti dei 30mila studiosi che - si stima - l’Italia ha perso e perderà nel decennio 2010-2020. Paesi dove ricerca, innovazione e conoscenza sono sistematicamente oggetto di scelte politiche strategiche e consapevoli fatte a valle di un’analisi delle potenzialità di breve e lungo periodo. Questo è il modo migliore per selezionare le mission a cui dedicare sforzi e finanziamenti – per traslare in chiave nazionale la definizione usata da Mariana Mazzucato nel suo recente rapporto alla Commissione Europea sulle auspicate “missioni europee” sull’innovazione. Le
mission propongono obiettivi chiari e ambiziosi, contemplano rischi, tempi e benefici misurabili, hanno rilevanza sociale, stimolano lo sviluppo di nuove soluzioni bottom
up. Ciascuna funziona da traino per una comunità di studiosi e per i vari portatori di interessi.
È stato così che, primo al mondo, nel 2013 il governo inglese avviava Genomics England, una geniale collaborazione pubblico-privato che ha individuato, convogliato e organizzato le competenze nazionali di genomica clinica e di sequenziamento del DNA, intuendone le ricadute sul sistema sanitario nazionale e i molti effetti in termini di posti di lavoro, conoscenze e prodotti. Dei centomila genomi umani obiettivo di quella loro mission, il contatore dell’aggiornatissimo sito web ne segnala 81179 sequenziati al 3 settembre 2018. Pochi mesi fa il Presidente Macron ha avviato una
mission francese sull’intelligenza artificiale con l’apporto di studiosi di ogni disciplina, dalla matematica alla biologia alle scienze umane e sociali, in stretta collaborazione con la Germania. In questi e altri Paesi europei i governi si impegnano con serietà e lungimiranza per essere i primi in settori di frontiera. E i loro
Ma l’attuale Governo vorrebbe istituire un’Agenzia
nazionale per la ricerca