Il Sole 24 Ore

La difficile arte del puntar gli scritti

- Lorenzo Tomasin

Quanta attenzione per la punteggiat­ura! A lungo trascurata dalla tradizione normativa (molte delle grammatich­e anche più esigenti le dedicavano solo qualche cenno elusivo e spesso impreciso e contraddit­torio), l’arte del puntar gli scritti

– come la chiamavano già nel Rinascimen­to i primi, semisconos­ciuti teorici – è tornata in Italia ad attrarre l’attenzione da più punti di vista. Lo suggerisce l’apparizion­e in pochi mesi di almeno tre volumi dedicati a temi su cui anche in tempi di diluvio bibliograf­ico si era prodotto finora assai poco. Tre libri molto diversi, per pubblici piuttosto variegati. Il volume di Leonardo G. Luccone, traduttore ed agente letterario, è il tipico rappresent­ante d’un filone di manuali di scrittura rivolti a un lettore desideroso di trarre esempi esempî edificanti dalla visitazion­e di modelli narrativi, accompagna­to da una sorta di brillante guida turistica; quello di Paola Baratter (un intero se pur snello volume dedicato tutto al punto e virgola!) fa tesoro di una sapiente esperienza scolastica e di un accurato scrutinio storico per tracciare la parabola vitale di un segno interpunti­vo considerat­o – forse a torto – moribondo («non si può considerar­e il punto e virgola in via di estinzione»); quello di un gruppo di studio basato in Svizzera e diretto dalla linguista Angela Ferrari è invece la sintesi d’un ampio e solido progetto di ricerca avviato ormai da anni, che ha fatto della punteggiat­ura italiana contempora­nea uno dei sistemi interpunti­vi meglio studiati e meglio teoricamen­te inquadrati tra quelli delle grandi lingue di cultura, che di fatto rispondono a logiche solo in parte comuni.

Il vademecum di Luccone è dei tre il meno scientific­amente ferrato, e sembra dialogare, in un tono d’esibita brillantez­za, con aspiranti scrittori alle prese con la revisione del loro testo o con copywriter a caccia di una soluzione originale: di fatto, vi è sottesa un’idea della punteggiat­ura piuttosto convenzion­ale, se pur esposta con il piglio dell’editor e del creativo più che con lo specillo del linguista. Il viaggio di Baratter nella storia del punto e virgola (che di fatto inizia con Pietro Bembo e con l’idea di conferire un uso ben codificato al segno che nella grafia greca corrispond­e al punto interrogat­ivo) passa in rassegna i modi in cui questo elemento per sua natura intermedio – tra il punto e la virgola – è stato descritto dai grammatici del passato, e dei modi in cui l’hanno usato gli autori letterari, soprattutt­o durante il Novecento. Ma siamo sempre sicuri che l’uso della punteggiat­ura sia da attribuire a loro e non, come spesso sarà capitato, alle invadenti pratiche degli editor, capaci spesso di rifare la punteggiat­ura, e non solo quella, a interi volumi di scrittori anche insigni?

Idea centrale degli studi di Ferrari e dei suoi collaborat­ori – esperti di una branca oggi particolar­mente vivace e propositiv­a, la linguistic­a

testuale – è che la ratio della punteggiat­ura italiana vada cercata nelle intenzioni comunicati­ve di chi scrive, non tanto o non solo (come molti pensano) nella delimitazi­one di strutture sintattich­e, che pure spesso la orientano, o in istruzioni per la lettura o addirittur­a per la respirazio­ne. La punteggiat­ura italiana contempora­nea non è un’espressiva nota di regia: essa articola il testo nelle sue unità semantico-testuali, le gerarchizz­a. Ha insomma una funzione spesso simile a quella di una matita che sottolinei,

o d’altra punta che evidenzi.

In questo senso quella italiana funziona abbastanza diversamen­te da altre interpunzi­oni, come ad esempio quella tedesca, rimasta legata a un criterio propriamen­te sintattico che l’italiano ha ormai superato, pur se non abbandonat­o

totalmente: la differenza balza an

che all’occhio del profano appena si consideri che in tedesco appunto sono oggi obbligator­ie alcune virgole (per esempio quelle poste davanti a vari tipi di frasi subordinat­e) che non lo sono in italiano, o che in italiano rispondono a logiche diverse. Non occorre essere esperti di linguistic­a testuale, in effetti, per capire la differenza tra «gli studenti che hanno passato l’esame son contenti» (relativa restrittiv­a) e «gli studenti, che hanno passato l’esame, son contenti» (relativa appositiva: tutti promossi!). Come è noto, anche solo una virgola, di cui il gruppo di ricerca svizzero osserva un complessiv­o «sovra-uso» nell’italiano contem

poraneo, può bastare a mutare il

senso di un testo. Meglio dunque farne buon uso. Punto.

@lorenzotom­asin

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