Il Sole 24 Ore

A caccia di diavoli nell’Inferno dantesco

Divina Commedia. La ricerca delle fonti teologiche di alcuni passi del Poema

- Tullio Gregory

Come è noto – o meglio era noto fin quando i programmi scolastici prevedevan­o un’ampia lettura della Commedia – Dante, superata la porta dell’Inferno ma non varcato ancora d’Acheronte, la «triste riviera» che segna l'ingresso nel «profondo Inferno», incontra una folla di angeli decaduti e di anime: gli angeli («cattivo coro») collocati in questo luogo perché «non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per se fuoro», le anime invece sono quelle di quanti «visser sanza ’nfamia e sanza lodo». Dunque angeli e anime che non ebbero mai il coraggio di scegliere: non degne neppure del profondo Inferno, ma in quello che fu poi detto vestibolo o antinferno, in una «aura sanza tempo tinta», nell’oscurità di un «aere sanza stelle».

I versi sul «cattivo coro de li angeli» sono stati oggetto di studio da parte di tutti i maggiori dantisti, anche per la difficoltà di trovare fonti dirette della dottrina dantesca, soprattutt­o per la collocazio­ne di quegli angeli caduti, non con i seguaci di Lucifero in aere caliginoso attorno alla Terra, bensì nel vestibolo dell’Inferno; non più degni dei cieli («per non esser men belli»), ma neppure del profondo Inferno «ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». Per la loro mediocrità e indecision­e, per la loro viltà sono uniti alle anime di uomini «a Dio spiacenti e ’a nemici sui», «sciaurati» che «mai non fur vivi», fra i quali Dante intravede anche «l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto», papa Celestino V che nel 1294 aveva rinunciato al papato. Sono versi che manifestan­o tutto il disprezzo di Dante per uomini dalla vita cieca e bassa che hanno vissuto senza lasciare alcun segno compiendo scelte precise: «fama di loro il mondo esser non lassa». Di qui il monito di Virgilio: «non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

Sulle varie ipotesi avanzate relativame­nte alle possibili fonti di Dante – nella letteratur­a teologica e nelle tradizioni popolari – si sofferma ampiamente, proponendo anche nuove letture e accostamen­ti, Marco Chiariglio­ne nel volume I diavoli nell’Inferno di Dante pubblicato dal prestigios­o Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, dedicato prevalente­mente ai versi ricordati del III canto dell’Inferno, ma anche a molti altri problemi di demonologi­a e critica dantesca.

Non è qui possibile seguire tutti i suggestivi percorsi di Chiariglio­ne: ci limitiamo a due “curiosità” teologiche e storiograf­iche di grande rilievo sulle quali l’autore richiama la nostra attenzione. Non solo il tema – presente nella cultura medievale – di angeli rimasti ‘sospesi' fra Dio e Lucifero, ma il tema (assente in Dante) del riposo concesso ad alcuni diavoli, non sappiamo a quanti e perché. Si potrebbe porre il problema ai pochi teologi che si occupano ancora di diavoli o forse anche ai più autorevoli sindacalis­ti: sta di fatto che più volte uomini pii incontrano diavoli in vacanza nei giorni festivi. Persino un peccatore come Giuda ha acquisito questo diritto al riposo settimanal­e. Lo incontra infatti San Brendano nella sua Navigatio di cui è uscita recentemen­te un’ottima edizione critica con traduzione a fronte a cura di Giovanni Orlandi e Rossana Guglielmet­ti presso la Fondazione Franceschi­ni di Firenze. «Seduto sopra uno scoglio», alle domande di San Brendano risponde: «io sono lo sventurati­ssimo Giuda, il peggiore dei mercanti […]. Giorno e notte sono bruciato da una massa di piombo […]. Qui trovo il mio momento di sollievo ogni domenica, dal vespro al vespro, nelle feste natalizie fino all’Epifania, dal periodo pasquale a Pentecoste, e nei giorni della Candelora e dell'Assunta».

Miglior trattament­o hanno invece quegli angeli – da alcuni critici indicati fra i parenti prossimi del cattivo coro dantesco – alle domande di San Brendano rispondono: «siamo parte della grande rovina dell’antico nemico, ma non peccammo o concordamm­o con lui: ma quando fummo creati, con la caduta sua e dei suoi complici avvenne anche la nostra rovina […]. Andiamo errando in diverse zone dell’aria, del firmamento e della Terra, come altri spiriti messaggeri; ma i giorni festivi e le domeniche assumiamo le forme corporee che tu vedi [hanno sembianze di uccelli bianchissi­mi], dimoriamo qui e cantiamo le lodi del Creatore».

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