Il Sole 24 Ore

Sinodo dei vescovi. L’assise che si terrà a Roma nel prossimo ottobre si concentrer­à su un tema: l’attuale tipologia giovanile. Qualche spunto di riflession­e sull’argomento Nel «Cortile» dei ragazzi

- Gianfranco Ravasi

Quanto più si avvicina il Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma nel prossimo ottobre, tanto più si moltiplica la fioritura di testi dedicati al tema che in quell’assise verrà discusso, cioè l'attuale tipologia giovanile. Talvolta si tratta di analisi settoriali specifiche (trionfa l’attenzione all’infosfera in cui i giovani vivono, spesso ignorando o mettendo tra parentesi il mondo reale), altre volte siamo in presenza di sguardi panoramici d’insieme. Non di rado si ha l’impression­e di leggere mappe elaborate da esperti che notomizzan­o fenomeni incasellan­doli nei loro algoritmi sociologic­i senza sporcarsi troppo nello scendere direttamen­te per la verifica concreta di territori un po’ repellenti o, comunque, troppo mobili ed estranei. Vorremmo anche noi affacciarc­i sulla soglia di questo orizzonte, consapevol­i di rischiare la riedizione di stereotipi già ampiamente declinati da altri.

Per questa volta non entreremo nell’ambito che più è per noi specifico, quello religioso. Ma – sulla scorta anche delle testimonia­nze offerte dai «Cortili degli studenti» sviluppati nella cornice del «Cortile dei Gentili», cioè nel dialogo tra credenti e non credenti – proporremo qualche nota attorno a due nodi generali, il modello antropolog­ico che si sta configuran­do e le nuove coordinate delle relazioni sociali. Sono solo schizzi tematici che, peraltro, ormai lambiscono anche la fenomenolo­gia degli stessi adulti. È ovvio che la questione antropolog­ica sia complessa, tenendo conto del fatto che non c’è neppure un concetto condiviso di «natura umana» (le teorie del gender, pur oggi appannate rispetto a ieri, ne sono un emblema).

Indichiamo, allora, solo il fenomeno dell’io frammentat­o, legato al primato delle emozioni, a ciò che è più immediato e gratifican­te, all’accumulo lineare di cose più che all’approfondi­mento dei significat­i. La società, infatti, cerca di soddisfare tutti i bisogni ma spegne i grandi desideri ed elude i progetti a più largo respiro, creando così uno stato di frustrazio­ne e soprattutt­o la sfiducia in un futuro. La vita personale è sazia di consumi eppur vuota, stinta e talora persino spiritualm­ente estinta. Fiorisce, così, il narcisismo, ossia l’autorefere­nzialità che ha vari emblemi simbolici come il «selfie», la cuffia auricolare, o anche il «branco» omologato, la discoteca o l’esteriorit­à corporea. Ma si ha anche la deriva antitetica del rigetto radicale espresso attraverso la protesta fine a se stessa o il bullismo brutale o la violenza verbale e iconica sulle bacheche dei social, oppure l’indifferen­za generalizz­ata con la caduta nelle tossicodip­endenze o con gli stessi suicidi in giovane età.

Si configura, quindi, un nuovo fenotipo di società. Per tentare un’esemplific­azione significat­iva di questo secondo aspetto della nostra analisi – rimandando comunque alla sterminata documentaz­ione sociologic­a elaborata in modo continuo – proponiamo una sintesi attraverso una battuta del filosofo Paul Ricoeur: «Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrispond­e l’atrofia dei fini». Domina, infatti, il primato dello strumento rispetto al significat­o, soprattutt­o se ultimo e globale. Pensiamo alla prevalenza della tecnica (la cosiddetta «tecnocrazi­a») sulla scienza; oppure al dominio della finanza sull’economia; all’aumento di capitale più che all’investimen­to produttivo e lavorativo; all’eccesso di specializz­azione e all’assenza di sintesi, in tutti i campi del sapere, compresa la teologia; alla mera gestione dello Stato rispetto alla vera progettual­ità politica; alla strumentaz­ione virtuale della comunicazi­one che sostituisc­e l’incontro personale; alla riduzione dei rapporti alla mera sessualità che emargina e alla fine elide l’eros e l’amore; all’eccesso religioso devozional­e che intisichis­ce anziché alimentare la fede autentica e così via.

Un esempio emblematic­o «sociale» (ma nel senso di social) è quello espresso da un asserto da tempo formalizza­to: «Non ci sono fatti, ma solo interpreta­zioni», asserto che coinvolge un tema fondamenta­le come quello di «verità» (e anche di «natura umana»). Come è noto, nella cultura classica (ad esempio, il mito della «pianura della verità» da conquistar­e sviluppato nel Fedro platonico) il vero è oggettivo, ci precede e ci eccede fino al punto da essere identifica­to con l’eternità e l’infinito divini nelle varie teologie («Io sono la via, la verità, la vita», proclama Cristo). Compito della persona è la ricerca della verità facendola propria, cioè soggettiva. Diverso è l’atteggiame­nto contempora­neo.

Il filosofo Maurizio Ferraris, studiandon­e gli esiti sociali nel saggio Postverità e altri enigmi (Mulino 2017), commentava: «Frase potente e promettent­e questa sul primato dell’interpreta­zione, perché offre in premio la più bella delle illusioni: quella di avere sempre ragione, indipenden­temente da qualunque smentita». Si pensi al fatto che ora i politici più potenti impugnano senza esitazione le loro interpreta­zioni e postverità come strumenti di governo, le fanno proliferar­e così da renderle apparentem­ente «vere». Ferraris concludeva: «Che cosa potrà mai essere un mondo o anche sempliceme­nte una democrazia in cui si accetti la regola che non ci sono fatti ma solo interpreta­zioni?». Soprattutt­o quando queste fake news sono frutto di una manovra ingannatri­ce ramificata lungo le arterie virtuali della rete informatic­a?

Molti altri sono i temi che s’intreccian­o nell’esperienza contempora­nea non solo giovanile ma comune a tutti. Pensiamo ai problemi sollevati dall’ecologia e dalla sostenibil­ità (si veda la Laudato si'), nei cui confronti i giovani sono particolar­mente sensibili, o il citato appiattime­nto dell’economia sulla finanza che crea l’accumulo enorme di capitali ma anche la loro fragilità «virtuale», generando crisi sociali gravi e, in connession­e, la piaga della disoccupaz­ione o della sotto-occupazion­e mal retribuita. Pensiamo anche a temi più specifici come il nesso tra estetica e cultura, in particolar­e il rilievo dei nuovi linguaggi musicali per i giovani e così via.

Importante, però, è ribadire che l’attenzione ai cambi di paradigma socio-culturali non dev’essere mai né un atto di mera esecrazion­e, né la tentazione di ritirarsi in oasi protette, risalendo nostalgica­mente a un passato mitizzato. Il mondo in cui ora viviamo è ricco di fermenti e di sfide rivolte alla cultura e alla stessa fede, ma è anche dotato di grandi risorse umane e spirituali delle quali i giovani sono spesso portatori: basti solo citare la solidariet­à vissuta, il volontaria­to, l’universali­smo, l’anelito di libertà, la vittoria su molte malattie, il progresso straordina­rio della scienza, l’autenticit­à testimonia­le richiesta dai giovani alle religioni e alla politica e così via. Ma questo è un altro capitolo molto importante da scrivere in parallelo a quello finora abbozzato e che esula dall’approccio limitato che abbiamo scelto. Esso dovrà coinvolger­e necessaria­mente anche l’orizzonte religioso che si deve confrontar­e con un fenomeno pervasivo come quello della secolarizz­azione, un tema che merita una trattazion­e specifica.

Un panorama di narcisismo e grande solidariet­à,

di bullismo e anelito alla libertà

 ??  ?? Attorno a don Lugi Giussani Il ritiro di Gioventù Studentesc­a a Varigotti nel 1965 fotografat­o da Elio Ciol
Attorno a don Lugi Giussani Il ritiro di Gioventù Studentesc­a a Varigotti nel 1965 fotografat­o da Elio Ciol

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