Dal 5 al 7 ottobre
L’isola di Chios fu rivelata agli italiani nel 1420 quando Cristoforo Buondelmonti pubblicò il Liber insularum Archipelagi. Il capitolo 58 destinato a Chios - descrive le terre e le città, i miti e la storia. Quando Buondelmonti passò da Chios, i Genovesi si erano stabiliti nell’isola da più un secolo ma di questa comunità di stranieri non fece parola.
A quel tempo il Mediterraneo era diviso tra imperi territoriali come quello di Bisanzio o i califfati arabi: occupavano con gli eserciti, riscuotevano le tasse e amministravano le popolazioni. Esistevano anche imperi commerciali, in primis Venezia e Genova, che avevano il monopolio di merci costose e ricercate: nelle chiese si bruciavano miliardi di granelli di incenso dell’Arabia, nelle cucine si macinava il pepe dell’India (pagato a peso dell’argento), il collo delle signore era abbellito dalle perle di Ceyon e profumato da secrezioni di animali esotici: il muschio e l’ambra. Prima di arrivare a Rialto o nei magazzini del porto di Genova, le mercanzie attraversavano migliaia di chilometri, passavano di mano in mano, trasportate da barche e cammelli e il loro prezzo aumentava di continuo. Per meglio trafficare le repubbliche marinare costruivano forti e stazioni commerciali in punti strategici del Mediterraneo: Chio fu una di queste.
Navigare necesse est, vivere non necesse est (è necessario navigare, non è necessario vivere) diceva un motto marinaro ma per Venezia e Genova era vera anche un’altra regola: lucrari necesse est (è necessario guadagnare).
Chios fece parte dell’impero commerciale di Genova, dopo essere stata occupata a intermittenza dai Veneziani dal 1082 al 1225. I mercanti liguri diventavano signori dell’isola su concessione della Repubblica di Genova e dell’imperatore di Bisanzio: prima gli Zaccaria e poi la «Maona» dei Giustiniani, che non era una famiglia ma un clan di famiglie che governarono l’isola fino all’occupazione turca del 1566 (le parole straniere passano di bocca in bocca: in arabo ma ūna significa «aiuto, appoggio» e i genovesi chiamavano Maona un’associazione finanziaria privata ma garantita dallo Stato).
I Giustiniani non erano solo affaristi e banchieri, divennero anche aristocratici con dogi a Genova e cardinali a Roma, costruirono palazzi e raccolsero collezioni di antichità come si addiceva ai nobili di rango. Erano animati dallo spirito del capitalismo, come accadrà più tardi per le Compagnie delle Indie Orientali, dopo che Vasco da Gama aveva ampliato il mondo dei commerci e delle spezie fino all’Oriente estremo.
I Genovesi erano a Chio per due ragioni: il mastice e l’allume di potassio dell’Anatolia (appena quattro miglia marine più a est). Erano gli unici a offrire questi prodotti sui mercati internazionali, con un potere commerciale senza concorrenza: fissavano le condizioni di estrazione e immagazzinamento, gestivano la distribuzione e imponevano i prezzi. L’allume era un minerale indispensabile in tutta Europa per fabbricare tessuti, vetri, pergamene e medicinali, e per conciare le pelli. Il mastice è una resina naturale che stilla dal tronco dei lentischi (pistacia lentiscus L.) di Chio, che sono più grandi di quelli di altre regioni e con una produzione maggiore (una “lacrima” di resina è grande quanto un pisello). Era adoperato per preparare l’olio santo, nella farmacopea, per profumare la bocca delle belle dell’harem, per fissare i colori in dipinti e stoffe e per fabbricare strumenti musicali. I Genovesi erano diversi dai Fiorentini di Atene o dai Veneziani di Creta, che raccoglievano codici, documentavano con mappe e disegni i resti antichi e all’occasione inviavano in patria qualche bel cimelio antico. I Giustianiani di Chios non si appassionarono alle antichità o a raccogliere souvenir, più concentrati a mantenere il cartello dell’allume e del mastice (o forse a Genova non c’erano dotti che sollecitassero la loro curiosità verso l'antica civiltà greca). Quando Vincenzo Giustianini, marchese e banchiere nato a Chios nel 1564, iniziò a raccogliere nel suo palazzo di Roma una mirabile collezione con 1200 sculture e 300 dipinti con 15 Caravaggio, non poté esibire nessun pezzo di famiglia. Chio dette un contributo pratico anche alla scoperta dell’America: Cristoforo Colombo passò più di un anno nell’isola intorno al 1474, imparando molte cose sulla navigazione e la cosmografia.
Il mastice era (ed è) raccolto nella regione meridionale dell’isola, la Mastichochora (terra del mastice), dove il paesaggio è intatto, con olivi e lentischi tra colline sassose e gli antichi villaggi di pietra dei coltivatori. Sulla pendice di una collina dentro un hortus conclusus, due pensiline di pietra, legno e vetro (disegnate dallo studio Kitzis di Atene) ospitano il Museo del mastice, costruito due anni fa dalla Fondazione della Banca del Pireo e che si aggiunge ad altri otto musei naturalistici e tecnologici della Grecia. La Fondazione ha scelto di impegnarsi nella divulgazione di aspetti meno conosciuti della Grecia scegliendo un contesto con il suo tipico prodotto e raccontandolo attraverso il tempo (ci sono musei dedicati a olio, seta marmo, mattoni e argento). Queste nuove esposizioni si aggiungono a quelle classiche di rovine, marmi e vasi che, così come sono, sembrano fatte più per suscitare l’incanto e l’ammirazione che per far fare conoscenza. Dal museo del mastice la vista spazia dal mare al villaggio di Pirgi, con le facciate decorate da graffiti grigi e bianchi. Il museo narra la natura, la geografia, la storia, l’architettura e le società della regione a partire dagli alberelli e dall’uso della loro resina nella storia: dai vini aromatizzati dei romani alle gomme ELMA, che in Grecia si cominciarono a masticare dal 1957. Il contesto, studiato e ricostruito, è illustrato con ogni mezzo divulgativo e soprattutto attraverso la cultura materiale, ma senza compiacimenti etnografici. Alla piccola Genova sull’Egeo è ovviamente dedicato gran parte del museo e alla storia che abbiamo prima illustrato.
La città di Montepulciano ricorda il grande storico dell'arte Federico Zeri nel
ventesimo anniversario della sua scomparsa, con tre giornate
di incontri dedicati al suo lavoro scientifico e al suo impegno sul fronte della tutela del patrimonio culturale. Gli incontri, che si svolgeranno nel Teatro Poliziano il 5, 6 e 7 ottobre, sono coordinati da Roberto Longi e Nino Criscenti e vedono presenti Tomaso Montanari,
Sandro Cappelletto, Andrea Bacchi, Alessandro
Angelini, Mauro Natale
e Anna Ottani Cavina