Il Sole 24 Ore

Vince l’eretico Menocchio

- Lara Ricci

Una cittadella sperimenta­le dove diecimila persone di ogni parte del mondo da 60 anni lavorano in armonia, gomito a gomito, per «rendere possibile l’impensabil­e, non l’impossibil­e» non è un luogo utopico. Esiste alle porte di Ginevra, a cavallo del confine con la Francia: è il Cern come viene raccontato in Almost

Nothing da Anna De Manincor e dal collettivo bolognese Zimmerfrei. Appassiona­nte e sincero, spoglio di certa altisonant­e retorica della divulgazio­ne scientific­a, questo bel documentar­io è stato presentato in anteprima al Festival del cinema italiano di Annecy, diretto da Francesco Giai Via, che chiude oggi la sua 36esima edizione. Da novembre sarà proiettato nelle sale italiane.

Alla regista non premeva tanto spiegare perché è così interessan­te studiare quel quasi niente che viene accelerato­ne i gigantesch­i anelli o rettilinei supercondu­ttori, o far vibrare il vuoto che non è vuoto per capirne le proprietà che ancora ci sfuggono, o ancora individuar­e le minuscoled­ifferenze tra materia e antimateri­a che fanno sì che noi esistiamo: ciò che lei voleva soprattutt­o comprender­e era come funzionava l’ esperiment­o sociale di una comunità internazio­nale, inter etnica, votata all’ eccellenza che si è costruita attorno a una lingua eunapass ione comune: lam atematica e la fisica. Al Cern De Manincor ha trovato «un livello di democrazia quasi irreale» associata a un’ossessione per la trasparenz­a e per il

dibattito continuo. «Un gruppo diventa civilizza tose escludiamo religione e nazionalit­à: qui non hanno alcuna influenza» ha affermato uno dei fisici intervista­ti,

mentre un altro ha sottolinea­to l’importanza di saper accettare di vivere nell’ignoranza: «bisogna saper vivere così, senza nessuna sicurezza, se vuoi essere uno scienziato. È la bellezza della ricerca ».

La bellezza dell’ impermanen­za la si ritrova anche in uno dei film in concorso ad Annecy: Beautiful things, di Giorgio Ferr eroe Federico Bi a sin. Per parlare della nostrabul imi caos sessione per gli oggetti,Ferr eros post al’ inquadratu­ra dalla claustrofo­bica cameretta di un bambino, ridondante di cose, agli sconfinati campi petrolifer­i texani. Qui ricostruis­ce la testimonia­nza di un uomo che lì è nato e lì è tornato, passa poi agli enormi vuoti on

deggianti di una nave porta container dove abita un marinaio filippino che pensa che« bisogna avere un sogno da realizzare, se noci si trova ogni giorno un po’ comenon si andasse da nessuna parte »( e il suo sogno è un cottage di legno con una donna e quattromil­a polli ); si infila in una camera anecoica, dove si misurano le proprietà acustiche degli oggetti e lavora un fisico convinto che il rumore faccia dimenticar­enoi stessi, coprendo ogni paura, per entrare infine in un incenerito­re accompagna­ti da un uomo che lì lavora dentro a una tuta. Al suo esordio alla regia dopo varie esperienze come direttore del suono, il 37 enneFerr ero è capa cedi usare il rumore e le originali inquadratu­re in modo da trasformar­e un documentar­io in un film artistico, in un’ esperienza estetica emozionant­e e rivelatric­e. Più emozionant­e e rivelatric­e del film che ha vinto il concorso, Me nocchio, di Alberto Fa sul o, storia ve radi un mugnaio eretico friulano de lXVI secolo. Un film molto efficace nel trasmetter­ci la barbarie di un tempo in cui si cercava di controllar elementi col rogo e la tortura, ma tuttavia più didascalic­o.

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