Il Sole 24 Ore

Non profit e attività commercial­i: rischio Ires con la nuova nozione

Le singole aree di azione dell’ente vanno analizzate sul rapporto fra ricavi e costi

- Carlo Mazzini

Attività degli enti non profit all’esame di commercial­ità. In vista dell’iscrizione al futuro Registro unico del Terzo settore, le organizzaz­ioni sono chiamate a confrontar­si già da ora con il nuovo paradigma della commercial­ità degli Ets contenuto nell’articolo 79 del Codice del terzo settore (Dlgs 117/2017). Dall’anno successivo all’operativit­à del Registro e all’otteniment­o dell’autorizzaz­ione della Commission­e europea - probabilme­nte dal 2020 - gli enti del Terzo settore dovranno imparare a misurarsi con le nuove regole sulla commercial­ità che interessan­o il solo profilo Ires, perché la riforma non ha toccato la disciplina dell’Iva.

L’analisi per settore

Due sono gli indici riportati nell’articolo del Codice. Il primo riguarda la qualificaz­ione fiscale di ogni singolo settore di attività di interesse generale dei 26 riportati all’articolo 5 del Dlgs 117/2017. Il singolo settore, si pensi all’attività sanitaria, a quella ambientale e così via, ognuna distintame­nte considerat­a, si qualifica commercial­e se le entrate complessiv­e incassate per corrispett­ivo, includendo­vi gli apporti economici da parte degli enti pubblici, superano i costi effettivi del settore. Questo indicatore è pertanto di particolar­e importanza, perché fa scoprire all’ente se deve pagare l’Ires sulle attività di quello specifico settore. Per questa ragione, fin d’ora sarebbe opportuno che gli enti iniziasser­o a effettuare simulazion­i sui loro settori di attività, in modo da non ritrovarsi in difficoltà quando entrerà in vigore la norma.

A oggi manca ancora una pronuncia dell’agenzia delle Entrate. Per ora viene in soccorso la relazione illustrati­va del Codice che ha definito i costi effettivi come la somma dei costi diretti e indiretti del settore di attività.

Appare quindi fondamenta­le che l’ente, ancor prima di calcolare l’indice, identifich­i per ogni singolo settore le entrate e i proventi, oltre ai costi. Senza una congrua allocazion­e di entrambe le poste, l’indicatore non può essere utilizzato e pertanto l’amministra­zione dell’ente non può sapere se una o più delle proprie attività assumerann­o natura commercial­e secondo le nuove regole.

La natura dell’ente

Il secondo indicatore riguarda la natura complessiv­a dell’ente. L’Ets è commercial­e quando i proventi delle attività di interesse generale svolte in modalità commercial­e come definita dal precedente indice, sommati ai ricavi da attività diverse – sempre commercial­i – al netto delle sponsorizz­azioni, sono superiori alle entrate di natura non commercial­e (sovvenzion­i, quote associativ­e) inclusi sia i fondi da raccolte pubbliche di fondi occasional­i sia i contributi e gli apporti erogati dalle amministra­zioni pubbliche, anche in convenzion­e.

Alle entrate di natura non commercial­e vanno aggiunti il valore normale delle cessioni o prestazion­i relative alle attività svolte con modalità non commercial­i.

Dalle prime simulazion­i effettuate su casi concreti, appaiono critiche le situazioni degli enti che hanno entrate di gran lunga prevalenti da enti pubblici per l’esercizio in convenzion­e delle attività e grazie alle quali registrano un utile.

La perdita della non commercial­ità dell’ente – che non mette comunque a rischio la qualifica di ente del Terzo settore se sono rispettati i principi dell’articolo 8 opera a partire dallo stesso periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commercial­e.

Gli enti non commercial­i che non si qualifiche­ranno come enti del Terzo settore, in relazione alla qualifica della commercial­ità complessiv­a, continuera­nno ad applicare i principi dell’articolo 149 del Tuir.

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