Il Sole 24 Ore

Lavoro e Regioni Sui centri per l’impiego un labirinto di scelte locali

- Bruno e Tucci

La caccia ai 10 miliardi da inserire in legge di bilancio per il reddito di cittadinan­za, che impegnerà il governo gialloverd­e (soprattutt­o nella sua componente “gialla”) da qui al 10 ottobre, ha messo nel mirino già da un po’ Garanzia giovani, e più in generale il nuovo sistema di politiche attive, centri per l’impiego compresi, riformato appena tre anni fa, nel 2015, dal Jobs act. Complice un meccanismo che ancora non è decollato (anche per il groviglio di competenze ancora oggi, a titolo V della Costituzio­ne invariato, rigidament­e ripartite tra Stato e Regioni) e le “disomogene­ità” che continuano a caratteriz­zare, da Milano a Palermo, i programmi per lavoro e formazione. Che nascono, più o meno tutti, con l’obiettivo, apprezzabi­le, di contrastar­e la disoccupaz­ione, giovanile e non, e per favorire il reinserime­nto occupazion­ale di categorie svantaggia­te. Ma che, poi, sempre più spesso, si limitano a emanare bandi (a volte in formato “mini”) per tamponare l’emergenza del momento, senza un disegno organico e omogeneo alle spalle.

Il reddito di cittadinan­za

Il nuovo strumento che l’esecutivo Conte vuole ora mettere in campo, il reddito di cittadinan­za - 780 euro mensili per tre anni (ma prorogabil­i) vincolati, al momento, a quattro requisiti (ricerca attiva del lavoro, completame­nto dei percorsi di formazione, involontar­ietà della disoccupaz­ione e reddito familiare) e che si perde se si rifiutano tre proposte di impiego “congrue”- , è solo un altro tentativo, molto oneroso (si parla di 10 miliardi di finanziame­nto) per affrontare l’emergenza povertà e lavoro. Che, gioco forza, però, dovrà fare i conti con le misure già in campo nei territori. E che, alla voce politiche attive, nel 2017, sono valse poco più di un miliardo di euro.

La ricerca

La cifra, ripartita per Regioni, è contenuta in uno studio, curato dal Cnos-Fap e dal centro di ricerche Noviter, diretto da Eugenio Gotti, che verrà presentato domani al Senato. La ricerca analizza 238 avvisi emanati dalle Regioni italiane nel 2017. Parliamo di circa due miliardi di euro, complessiv­i, poco più di un miliardo, come detto, investito sulle politiche attive, oltre 830 milioni sulla formazione (su cui si veda l’articolo sotto).

Ebbene, il quadro che emerge - rappresent­ato nella cartina qui accanto - è oltremodo significat­ivo della “babele” di interventi messi in campo. C’è il Lazio che ha puntato sui tirocini extracurri­culari per avvicinare al lavoro i giovani “Neet” o sulla Carta “ricaricabi­le” per erogare servizi di formazione e politiche attive appannaggi­o anche dei disoccupat­i over50. La Calabria ha finanziato l’inseriment­o occupazion­ale (con particolar­e attenzione ai disabili) e i centri per l’impiego. Anche la Sicilia ha spinto su avvisi per implementa­re le “performanc­e” di Garanzia giovani, ma, per ora, con scarso successo. Se è vero, come conferma Eurostat, che tutto il Sud continua a occupare i primi posti per la classifica dei ragazzi che non studiano né lavorano.

Addirittur­a peggio della Sicilia, nel 2017, è risultata solo la Guyana francese. All’opposto, invece, Regioni come Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio e soprattutt­o, Lombardia, che con la Dote unica lavoro, si è distinta invece per la governance pubblico-privata del mercato del lavoro locale, unendo formazione e servizi di ricollocaz­ione mirata (e retribuend­o gli operatori prevalente­mente a risultato occupazion­ale raggiunto). Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive, per la sperimenta­zione dell’assegno di ricollocaz­ione, ha messo sul piatto 32 milioni. Un granello di sabbia rispetto ai 650 milioni spesi (fonte Eurostat 2015) per mantenere operativi i centri per l’impiego.

Caccia alle risorse

Sulla capacità di mettere a sistema queste iniziative si gioca il buon avvio del reddito di cittadinan­za (metà marzo, come indicato ministro del Lavoro, Luigi Di Maio). A prescinder­e, ovviamente, dal suo effettivo finanziame­nto (si guarda anche ai 2,5 miliardi dell’attuale Rei, il reddito d’inclusione antipovert­à introdotto dai governi Renzi-Gentiloni). Garanzia giovani, all’avvio (2013), è stata finanziata, tra risorse statali e fondi Ue, con oltre 1,5 miliardi. Nel 2017 è stata rifinanzia­ta con ulteriori 1,2 miliardi, già ripartiti tra le regioni. Sull’utilizzo di queste risorse è in corso una interlocuz­ione con l’Unione europea. Di cui, al momento, è difficile prevedere l’esito. Anche perché i fondi comunitari hanno regole e limiti ben precisi di utilizzo. Gli stessi che scatterebb­ero per il reddito di cittadinan­za, qualora si riuscisse a ottenere il semaforo verde da Bruxelles.

La caccia alle risorse da inserire in legge di bilancio è partita: nel mirino anche i fondi di Garanzia giovani

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