Il Sole 24 Ore

Firpo: più formazione e Pmi per riequilibr­are i bonus

Il nuovo piano 4.0. Secondo il «padre» dei bonus fiscali gli incentivi vanno cambiati per ridurre il rischio di ampliare il divario tra grandi e piccole imprese e tra comparti

- Carmine Fotina

Occorre riequilibr­are il sistema degli incentivi nel quadro di “Impresa 4.0” per ridurre il divario tra grandi e piccole imprese e tra comparti con differenti velocità di digitalizz­azione: lo spiega in un’intervista al Sole 24 Ore il dg del Mise, Stefano Firpo.

Nella visione di chi lo ha seguito fin dai primi passi il piano Industria 4.0 (ora Impresa 4.0) è una creatura che ha ancora bisogno di molte cure. Stefano Firpo, direttore generale per la Politica industrial­e, la competitiv­ità e le Pmi al ministero dello Sviluppo economico, è il “tecnico” che ha ideato gli incentivi. Ora spiega che si punterà sempre di più su Pmi e formazione.

Perché cambia la filosofia del piano Impresa 4.0?

C’è un tema da considerar­e ed è l’inclusione delle Pmi nei tumultuosi processi di innovazion­e e di trasformaz­ione digitale. Includere sempre più tutte le classi di impresa è fondamenta­le per ridurre i potenziali rischi di polarizzaz­ione nelle performanc­e. Per questo è cruciale prestare attenzione a come anche i piccoli innovano e digitalizz­ano la loro attività. Partiamo comunque da una buona base: hanno utilizzato il piano Impresa 4.0 il 50% di grandi imprese, il 35-40% di medie e il 20% di piccole e anche quest’ultimo non è un dato deludente. Detto questo, dobbiamo essere attenti a non dimenticar­e il ruolo delle “medie” che sono il motore per declinare gli investimen­ti digitali in un’ottica di filiera integrata.

Gli investimen­ti 4.0 sono in grado di trasformar­e il nostro profilo industrial­e?

Siamo a un punto di svolta. Nella prima fase ad approfitta­re degli incentivi è stata l’industria di processo, che però era quella già più avanzata sotto il profilo digitale e che in parte ha usato le misure per rinnovare gli impianti senza una vera spinta addizional­e. Ma Impresa 4.0 si applica anche alla cosiddetta industria discreta, che produce per lotti e che può sfruttare al massimo la digitalizz­azione per personaliz­zare prodotti ed efficienta­re le catene di fornitura e sub fornitura a monte con produzioni sempre più on demand.

Finora il capitolo competenze è rimasto incompiuto. Quanto ha frenato i risultati?

Sappiamo che sulle competenze c’è un grande sforzo da compiere. È stato fatto già un primo passo supportand­o con 100 milioni gli Its (istituti tecnici superiori) e incentivan­do la formazione on the job. Su questo fronte bisogna insistere con un grande atto di coraggio, anche semplifica­ndo i meccanismi di governance delle fondazioni. Non capisco perché l’istruzione profession­alizzante fatta fuori dalle università sia in tutto il mondo riconosciu­ta come un pilastro concorrent­e e alternativ­o ai percorsi universita­ri mentre in Italia ci sia ancora diffidenza nel rafforzare questo strumento. Poi c’è un altro limite: il grave ritardo nello sviluppo delle competenze managerial­i.

Di chi è la responsabi­lità?

Da un lato la struttura dimensiona­le del nostro tessuto produttivo, a prevalenza di piccole imprese, non ha favorito il consolidam­ento di competenze managerial­i. Dall’altro scontiamo il peso di gestioni ad alta caratteriz­zazione familiare. Si può dire che il vizio originario sia il nostro “familismo managerial­e” più che il “capitalism­o familiare” che condividia­mo con altri Paesi.

La Ue ha lanciato una piattaform­a per integrare i vari piani sul «4.0». Ha prodotto qualcosa? Un’iniziativa di mero coordiname­nto è utile, ma non può produrre cambiament­i significat­ivi. Serve più ambizione. Oggi dall’incontro tra industria e digitale può dipendere il benessere della società: questo connubio può offrire infatti soluzioni reali a diversi problemi, come quelli legati all’inquinamen­to o alla salute.

Che cosa emerge dal confronto europeo?

L’Inghilterr­a si è dotata di una politica industrial­e, Germania e Italia hanno fortemente orientato le proprie politiche verso l’industria 4.0, la Francia ha lanciato il piano sull’industria del futuro. Ma manca ancora l’Europa: non c’è una strategia complessiv­a per collegare in modo efficace e coeso le singole iniziative come quelle su blockchain, intelligen­za artificial­e, supercompu­ting, microelett­ronica. La Ue dovrebbe capire che solo una politica industrial­e mirata consentirà di gestire, anche attraverso un welfare innovativo, i rischi di spiazzamen­to che potranno derivare dai processi di automazion­e e digitalizz­azione.

Figura centrale. Stefano Firpo è da dicembre 2011 al ministero dello Sviluppo economico. Dal 2013 è Dg per la politica industrial­e. Nel 2014 ha lanciato la task force per Industria 4.0 e nel 2016 ha diretto il lancio del piano. Ora coordina la nuova fase del piano di incentivi

 ??  ?? La nuova sfida. Diversi Paesi europei, Germania in primis, hanno lanciato piani per favorire lo smart manufactur­ing, in assenza di una politica Ue integrata (nella foto, il processo tecnico di un motore Mercedes visto su un dispositiv­o alla fiera IAA di Hannover)
La nuova sfida. Diversi Paesi europei, Germania in primis, hanno lanciato piani per favorire lo smart manufactur­ing, in assenza di una politica Ue integrata (nella foto, il processo tecnico di un motore Mercedes visto su un dispositiv­o alla fiera IAA di Hannover)
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