Falsi, dogane e porti colabrodo Acquisti online fuori controllo
Secondo i dati di Bruxelles, nel 2017 sono calati sequestri e valore dei beni Nei Paesi dove è forte il «business» dei porti, questo prevale sui controlli
Nella Ue ogni paese, in dogana, fa per sè. Risultato: frontiere colabrodo per i prodotti falsi e pericolosi. È un quadro in peggioramento quello che emerge dai dati pubblicati nell’annuale report della Commissione europea sui prodotti falsi e contraffatti sequestrati alle frontiere del perimetro Ue nel corso del 2017. Meno sequestri (e di minor valore), meno segnalazioni delle aziende e meno procedure aperte dalle autorità.
Nel 2017 gli articoli sequestrati dalle dogane europee sono stati 31,4 milioni di pezzi, contro gli oltre 41,2 milioni del 2016. Per un valore totale di 582,4 milioni di euro contro i 672 milioni dell’anno precedente. Dal 2016 meno sequestri, ma è aumentata la proporzione di falsi potenzialmente pericolosi per la salute. Ovvero, in classifica, scendono i blocchi di abbigliamento e pelletteria e salgono farmaci, giocattoli e apparecchi elettrici (il 43% dei sequestri). Al primo posto tra i beni contraffatti ci sono i prodotti alimentari (24% delle confische); seguono giocattoli (11%), sigarette (9%) e abbigliamento (7%). Calano anche le denunce da parte delle imprese titolari di marhi (57mila nel 2017 e 63mila del 2016) e le procedure aperte dalle Dogane (74mila contro 77mila). Se dalla Cina partono 2 prodotti su 3 fra quelli sequestrati in entrata nella Ue (cui va aggiunto un 10% “made in Hong Kong”), cresce il protagonismo di Turchia (4%), Vietnam (2,6%), Siria (2%), India (1,9%) ed Egitto (1,4%).
Ma la realtà è più sfaccettata. L’Agenzia delle Dogane italiana, ad esempio, nel solo I semestre 2018 ha già raggiunto oltre 1,7 milioni di pezzi sequestrati, per un valore di più di 5 milioni. Continuando così, si stima che, quest’anno, i sequestri di falsi in Italia cresceranno di quasi il 30%.
Ma la lotta ai falsi, negli ultimi 10 anni, si è complicata. Se 10 anni fa, bloccando un container si fermavano, con una sola operazione, migliaia di pezzi e talvolta milioni di euro di merce destinata a finire sulle bancarelle, oggi la contraffazione si è “polverizzata”. Si acquista online (preferibilmente via Facebook) e la merce viaggia in “piccoli pacchetti” con posta ordinaria o corrieri internazionali. Intercettare 100mila pacchetti, ciascuno con uno o due pezzi dentro è molto più difficile. Infatti, il maggior numero di articoli fermati arriva, ancora oggi, dai sequestri via mare, mentre il 65% dei procedimenti aperti in Dogana riguarda spedizioni postali.
Oltre ai porti (si pensi al Pireo di Atene acquistato da Cosco China o a quelli del Nord Europa il cui business è l’import di “Made in China”) anche gli aeroporti sono diventati snodi delicati. Come i 3 principali hub distributivi di corrieri internazionali (Lipsia, Liegi e East Midlands). Una volta che la merce è sdoganata, può liberamente circolare nella Ue senza ulteriori contolli. Nella stessa Ue ci sono Paesi ad alto tasso di produzione e brevetti e altri, che per geografia o “vocazione” commerciale, sono Paesi di transito in cui la logistica del “fake” è un business di per sè. È soprattutto per questo che non esistono procedure vincolanti e griglie di rischio omogenee per tutte le Dogane Ue. Servirebbe un regolamento. Si attende la volontà politica degli Stati membri.