Azioni proprie: bussola su voti, assemblee societarie e quorum
Per i giudici c’è differenza nelle maggioranze di quotate e non quotate
Nell’assemblea delle società per azioni «chiuse» (quelle che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) è sospeso il diritto di voto delle azioni proprie, e cioè delle azioni emesse dalla stessa società che ne è proprietaria (articolo 2357ter, comma 2 del Codice civile); di esse si deve però tener conto nel calcolo sia del quorum costitutivo che del quorum deliberativo dell’assemblea. Nelle società quotate, invece, le azioni proprie si considerano per il calcolo del quorum costitutivo ma non si computano per il calcolo del quorum deliberativo.
Lo decide la Cassazione nella sentenza 23950 del 2 ottobre 2018 (priva di precedenti), che ha confermato una sentenza della Corte d’appello di Roma la quale, a sua volta, aveva annullato una deliberazione di approvazione del bilancio di una spa non quotata adottata non computando le azioni proprie (pari al 10 per cento del capitale sociale) nel quorum deliberativo.
Per comprendere la questione, occorre rammentare che, con il Dlgs 224/2010, è stata differenziata la disciplina delle società chiuse rispetto a quelle aperte: nelle società chiuse è stato disposto che «le azioni proprie sono computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea»; nelle società aperte è stato disposto che «le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea», ma «non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l’approvazione della deliberazione». In sostanza, nelle società aperte è più facile raggiungere la maggioranza occorrente per adottare una deliberazione.
Dato che, ai fini del calcolo della maggioranza occorrente per l’approvazione di una proposta di deliberazione, i voti presenti in assemblea stanno nel denominatore e i voti favorevoli stanno nel numeratore, se ne ha che, se le azioni emesse sono 100, le azioni proprie sono 20, in assemblea sono presenti 60 azioni (di cui 20 sono azioni proprie) e si ha il voto contrario di 10 azioni e il voto favorevole di 30 azioni:
in una società non quotata, il quorum deliberativo è di (60 / 2 + 1 =) 31, cosicchè la proposta non passa;
in una società quotata, il quorum deliberativo sta a (40 / 2 + 1 =) 21, cosicchè la proposta passa.
Nella sentenza la Cassazione osserva che la ragione della norma per la quale, nelle società chiuse, le azioni proprie devono essere conteggiate nel calcolo non solo del quorum costitutivo, ma anche di quello deliberativo, è nell’intento del legislatore di impedire che le azioni proprie «modifichino i rispettivi poteri fra i soci, e più in generale che non ne risulti alterata la cosiddetta funzione organizzativa del capitale sociale».
La legge vuole che le azioni proprie non siano acquistate dalla società per avvantaggiare il socio di maggioranza: non esistendo, nelle società chiuse, il limite al possesso di azioni proprie (a differenza che nelle società aperte, dove vige il divieto di superare, con le azioni proprie, il 20% del capitale sociale), il principio del computo delle azioni proprie ai fini delle maggioranze deliberative diminuisce il rischio di concentrazione surrettizia del potere di voto in capo al socio che controlla la società.