A Madrid e Lisbona i primi timori del rischio contagio
Da metà maggio lo spread di Spagna e Portogallo è aumentato di 40 punti
Che quella sui BTp sia una turbolenza tutta italiana lo dimostra il fatto che - a differenza dei casi del passato - la nostra crisi dello spread non ha contagiato in maniera sensibile gli altri Paesi del Sud Europa. Un effetto trascinamento c’è stato su Spagna e Portogallo, certo, ma nulla di paragonabile a quanto accadde nel 2011 o nel 2012. Anche Mario Draghi, durante l’ultima conferenza della Bce a metà settembre, l’ha detto forte e chiaro: «Non abbiamo visto alcun contagio fino ad ora». Se questo è dovuto al fatto che la turbolenza in Italia è non dovuta a fattori economici ma squisitamente politici (dunque tutti interni ai confini nazionali), non è detto che l’equilibrio debba durare per sempre. Proprio ieri Goldman Sachs ha scritto: «Sebbene i nostri economisti non si aspettino implicazioni sistemiche per l’economia globale (dal caso italiano, ndr), il rischio di contagio sta salendo».
Partiamo dai numeri. Dal 15 maggio, data in cui è uscita la prima bozza del contratto di Governo che ha mandato per la prima volta i mercati in agitazione, lo spread tra i BTp italiani e i Bund tedeschi è salito di 173 punti base: era a 130 ed è andato a 303 ieri. Nello stesso arco di tempo lo spread della Spagna è salito di 41 punti base (fino agli attuali 112) e quello del Portogallo di 40 (fino a 148). Come si nota entrambi i Paesi hanno perso terreno rispetto ai Bund tedeschi, ma in maniera minima se confrontati al movimento registrato dai BTp italiani. Il contagio dunque c’è stato, ma ridotto. Eppure un effetto l’ha prodotto: anche Spagna e Portogallo d’ora in avanti - se il loro spread restasse su questi livelli - subiranno un aggravio nella spesa per interessi. Considerando che la Spagna nel 2019 dovrà emettere qualcosa come 112 miliardi di titoli di Stato (la stima si evince dai dati del ministero dell’Economia spagnolo), il costo del finanziamento per Madrid potrebbe aumentare di quasi mezzo miliardo di euro nel 2019. Nulla di eccessivo, nulla di paragonabile con gli oltre 4 miliardi che dovrà probabilmente pagare in più l’Italia l’anno prossimo causaspread. Ma comunque si tratta di un peso sui conti pubblici di cui la Spagna avrebbe fatto volentieri a meno. Numeri ben più piccoli per il Portogallo che, avendo meno debito sul mercato, l’anno prossimo dovrà emettere appena 14,8 miliardi di titoli di Stato: l’extra-costo sarà di appena 60 milioni se lo spread restasse su questi livelli.
Questi numeri pongono alcuni interrogativi. Il primo è politico: l’Italia nella sua battaglia per maggiore flessibilità sui conti pubblici e per un cambio delle regole europee, troverà Spagna e Portogallo alleati oppure no? Il secondo interrogativo è economico: questa turbolenza sullo spread (sebbene ben più contenuta che in casi passati e poco “contagiosa”) potrebbe prima o poi avere un impatto sull’economia italiana ed europea? Proprio ieri Moody’s ha scritto che l’Europa non è preparata per affrontare una nuova crisi: «Nonostante vi siano stati diversi miglioramenti dopo il 2008 - afferma Paolo Leschiutta, Senior Vice President di Moody’s -, l’Europa resta vulnerabile in termini economici». Certo, siamo ben lontani da una crisi vera. Per fortuna. Ma i rischi, come dice Goldman Sachs, potrebbero salire.