IL «BANCO» RIMANE AI PARTITI
Il cambiamento compie quattro mesi, e non li dimostra . Promesso, sbandierato, minacciato, avversato, temuto, sbeffeggiato, è ancora oggi una recita priva di contenuti concreti , con protagonisti al di sopra delle righe, che si azzuffano intorno a una manovra di bilancio che ancora non esiste. Qualche piccola novità viene dalle istituzioni: un sasso nella palude stagnante del dopo 4 dicembre 2016, con la presentazione di un pacchetto di riforme costituzionali targato Cinque Stelle. Qualcosa di palpabile, non solo parole. Non l’ambizione di una vera riforma della costituzione, della forma di Stato e di governo, del resto relativa anche nella riforma Renzi-Boschi: ma specifiche misure coerenti con la filosofia del movimento, che rifiuta il concetto di rappresentanza degli eletti, e pone l’obiettivo della contrazione drastica dei costi della politica, inteso come fine e non come mezzo, attraverso la riduzione dei parlamentari e delle indennità. Meglio non cercare, tra le finalità, obiettivi quali l’efficienza, la qualità, la competenza, l’esperienza: del resto,che chiunque possa fare il deputato, il ministro, il capo del governo, domani – Dio non voglia - il presidente della Repubblica, per quel movimento, non è scoperta di oggi. Parlamentari senza alcun prestigio formale, in quello che è di fatto il ruolo guida di una società: per alcuni una rivoluzione, più semplicemente un atto autolesionistico per la collettività. Per il popolo: inteso non come la somma di milioni di cittadini , ma come la base elettorale e militante di un movimento.
Uno strappo con la Costituzione vigente, e la dominante teoria dei parlamenti , è nella sottoposizione al vincolo di mandato dei parlamentari, per i quali cessa la rappresentanza generale del corpo elettorale, e rimane quella del proprio partito. A prima vista , un necessario rimedio contro le indecenti migrazioni in corso di legislatura, contro il mercato di deputati e senatori. In realtà, la difesa della nomina diretta dei parlamentari da parte dei partiti, con le famigerate “liste bloccate”, e l’espropriazione del corpo elettorale della sua sovranità reale.
Altre misure, l’allargamento degli spazi di democrazia diretta, con garanzie per i firmatari dei referendum e delle proposte di legge di iniziativa popolare. Il voto ai sedicenni. Piccoli strappi, se passassero l’esame delle Camere e l’eventuale voto popolare, sotto l’apparenza stravolgenti: me nessuno si illuda o si strappi le vesti. Con questo tipo di riforme, il banco rimane saldamente nelle mani dei partiti. Almeno, fino alle elezioni successive.