Il Sole 24 Ore

Tassazione incongrua per i token non finalizzat­i all’investimen­to

- —Stefano Capaccioli —Dario Deotto

I token associati alle Ico (Initial coin offering) possono assumere varie sembianze a seconda delle proprie caratteris­tiche, per cui, per l'identifica­zione degli stessi, occorre avere un approccio sostanzial­e e non formale, non risultando sufficient­e la forse troppo elementare distinzion­e – contenuta anche nella risposta delle Entrate con l'interpello n. 14/2018 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 29 settembre) - tra security token e utility token.

Sotto il profilo sostanzial­e, dunque, i token si possono distinguer­e in: asset token (diritto a ricevere un bene, un servizio), reward token (diritto a ricevere parte dei ricavi di un'applicazio­ne o parte degli utili), access token (diritto all'accesso a una applicazio­ne, anche quale prepagamen­to della stessa), discount token (diritto di accesso con uno sconto), voucher token (la cui funzione è similare a un voucher), valueless token (senza alcun diritto né valore intrinseco con unica funzione della titolariet­à del token) e token ibridi, che uniscono varie caratteris­tiche.

Con specifico riferiment­o ai token che danno diritto a ricevere un servizio o un bene, oggetto dell'interpello 14/2018, la risposta all'interpello parte dal presuppost­o che i soggetti che aderiscono alleIcoacq­uistandoto­keneffettu­anouninves­timento del proprio risparmio, quando, in realtà, tali forme di acquisto possono rispondere anche a esigenze di consumo, come nel caso oggetto dell'interpello in cui i token danno il diritto a visite per la diagnosi di infertilit­à inspiegata, con espressa esclusione di finalità di natura monetaria, speculativ­a e partecipat­iva.

Da ciò risulta di difficile comprensio­ne la posizione dell'Agenzia che qualifica i token detenuti dalle persone fisiche che non agiscono come imprendito­ri (o come dipendenti o amministra­tori) quali «rapporti da cui deriva il diritto di acquistare a termine (quando sarà disponibil­e) il prodotto o il servizio e, pertanto, sono suscettibi­li di generare un reddito diverso ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera c-quater), del Tuir», cioè redditi connessi a investimen­ti di natura finanziari­a realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l'obbligo di cedere od acquistare a termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci, ipotesi che non si attaglia assolutame­nte ad un token assimilabi­le ad un documento di legittimaz­ione.

I redditi derivanti dai contratti derivati o a termine devono avere la caratteris­tica di potere essere “chiusi” o di dare diritto al pagamento di un differenzi­ale, e non certamente di ottenere un servizio o beneficiar­e di qualche altra utilità. L'attrazione a tale fattispeci­e svolta dalle Entrate risulta pertanto incongrua: è come avere sostenuto la tassabilit­à del gettone telefonico nel 1984, quando raddoppiò di valore passando da 100 lire a 200 lire, quando in realtà il servizio reso (lo scatto telefonico) rimase immutato. Nondimeno, si avrebbe l'anomalia di una doppia tassazione: in capo all'emittente, nel momento in cui viene erogato il servizio, ed in capo all'utilizzato­re, nel momento in cui viene utilizzato il token.

Nella risposta a interpello 14/E le Entrate non fanno adeguate distinzion­i tra i tipi di «gettone»

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