Tassazione incongrua per i token non finalizzati all’investimento
I token associati alle Ico (Initial coin offering) possono assumere varie sembianze a seconda delle proprie caratteristiche, per cui, per l'identificazione degli stessi, occorre avere un approccio sostanziale e non formale, non risultando sufficiente la forse troppo elementare distinzione – contenuta anche nella risposta delle Entrate con l'interpello n. 14/2018 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 29 settembre) - tra security token e utility token.
Sotto il profilo sostanziale, dunque, i token si possono distinguere in: asset token (diritto a ricevere un bene, un servizio), reward token (diritto a ricevere parte dei ricavi di un'applicazione o parte degli utili), access token (diritto all'accesso a una applicazione, anche quale prepagamento della stessa), discount token (diritto di accesso con uno sconto), voucher token (la cui funzione è similare a un voucher), valueless token (senza alcun diritto né valore intrinseco con unica funzione della titolarietà del token) e token ibridi, che uniscono varie caratteristiche.
Con specifico riferimento ai token che danno diritto a ricevere un servizio o un bene, oggetto dell'interpello 14/2018, la risposta all'interpello parte dal presupposto che i soggetti che aderiscono alleIcoacquistandotokeneffettuanouninvestimento del proprio risparmio, quando, in realtà, tali forme di acquisto possono rispondere anche a esigenze di consumo, come nel caso oggetto dell'interpello in cui i token danno il diritto a visite per la diagnosi di infertilità inspiegata, con espressa esclusione di finalità di natura monetaria, speculativa e partecipativa.
Da ciò risulta di difficile comprensione la posizione dell'Agenzia che qualifica i token detenuti dalle persone fisiche che non agiscono come imprenditori (o come dipendenti o amministratori) quali «rapporti da cui deriva il diritto di acquistare a termine (quando sarà disponibile) il prodotto o il servizio e, pertanto, sono suscettibili di generare un reddito diverso ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera c-quater), del Tuir», cioè redditi connessi a investimenti di natura finanziaria realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l'obbligo di cedere od acquistare a termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci, ipotesi che non si attaglia assolutamente ad un token assimilabile ad un documento di legittimazione.
I redditi derivanti dai contratti derivati o a termine devono avere la caratteristica di potere essere “chiusi” o di dare diritto al pagamento di un differenziale, e non certamente di ottenere un servizio o beneficiare di qualche altra utilità. L'attrazione a tale fattispecie svolta dalle Entrate risulta pertanto incongrua: è come avere sostenuto la tassabilità del gettone telefonico nel 1984, quando raddoppiò di valore passando da 100 lire a 200 lire, quando in realtà il servizio reso (lo scatto telefonico) rimase immutato. Nondimeno, si avrebbe l'anomalia di una doppia tassazione: in capo all'emittente, nel momento in cui viene erogato il servizio, ed in capo all'utilizzatore, nel momento in cui viene utilizzato il token.
Nella risposta a interpello 14/E le Entrate non fanno adeguate distinzioni tra i tipi di «gettone»