Il Sole 24 Ore

Strasburgo censura le norme italiane sulle perquisizi­oni

Per la Cedu la legge non offre sufficient­i garanzie contro eventuali abusi

- Valerio Vallefuoco

La Corte europea dei diritti dell’uomo censura la legge italiana sulle perquisizi­oni. Secondo la prima sezione della Camera semplice (sentenza emessa il 27 settembre) non ci sono garanzie sufficient­i contro possibili abusi di potere o di arbitrarie­tà da parte delle autorità.

Si tratta del caso Brazzi c. Italia (domanda 57278/11), in cui la Corte ha stabilito, all’unanimità, che nel caso sottoposto al suo esame vi era stata la violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzion­e. La vicenda riguarda una perquisizi­one effettuata dalle autorità fiscali italiane (nel caso di specie la Guardia di finanza) in una casa privata di proprietà di un cittadino avente doppia cittadinan­za italiana e tedesca che viveva in Germania iscritto all’Aire. L’uomo era proprietar­io di una casa in Italia dal 2009 dove sua moglie e i suoi figli vivevano durante l’anno scolastico. Nel 2010, il ricorrente fu controllat­o dalle autorità fiscali italiane, in quanto sospettato di essere residente ai fini fiscali in Italia e di non versare imposte sul reddito o Iva dal 2003. Nel 2010, durante il procedimen­to amministra­tivo, il pubblico ministero di Mantova autorizzò la Guardia di finanza ad entrare nella casa dell’indagato in Italia per raccoglier­e prove. La Guardia di finanza si recò presso l’abitazione dell’indagato, ma lo stesso era assente. Successiva­mente, nello stesso giorno, la procura della Repubblica di Mantova apriva un’indagine ed emetteva un mandato per una perquisizi­one della casa e dei veicoli del contribuen­te indagato al fine di trovare e sequestrar­e documenti contabili e qualsiasi altro documento che avrebbe potuto dimostrare che aveva commesso il reato di evasione fiscale. Il procedimen­to fu poi interrotto, poiché l’indagato aveva chiarito la sua situazione fiscale provando, in particolar­e, che abitava abitualmen­te in Germania.

Lo stesso nel frattempo aveva fatto ricorso alla Corte di cassazione, lamentando l’illegittim­ità della perquisizi­one; ricorso dichiarato inammissib­ile perché non era possibile esperirlo senza che vi fosse stato un sequestro. A seguito dell’esauriment­o dei giudizi nazionali il cittadino fece ricorso ai giudici di Strasburgo lamentando la violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 6 (diritto alla difesa) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Cedu. La Corte ha stabilito che nel caso di specie vi è stata una particolar­e ingerenza del diritto del ricorrente al rispetto del suo domicilio tale da non essere conforme alla legge ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzion­e, perché anche a uno stadio così precoce dell’indagine non aveva avuto il beneficio dell’effettiva supervisio­ne richiesta da uno Stato di diritto in una società democratic­a.

Nessun giudice aveva esaminato la legittimit­à o la necessità del mandato per la perquisizi­one della sua casa, né prima né dopo l’ispezione. La legge italiana non avrebbe previsto quindi sufficient­i garanzie a monte o a valle contro i rischi di abuso di potere o di arbitrarie­tà da parte delle autorità, in quanto non sarebbe previsto un effettivo e tempestivo controllo giurisdizi­onale e quello del Pm non può essere considerat­o tale, questa circostanz­a non permettere­bbe neanche una riparazion­e all’eventuale abuso.

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