Il Sole 24 Ore

Pagò i dipendenti, condannato per omessa Iva

Secondo la Cassazione l’imprendito­re non può scegliere chi liquidare

- Alessandro Galimberti

La crisi d’impresa non basta a giustifica­re penalmente il mancato versamento dell’Iva, a meno che l’imprendito­re riesca a dimostrare un’ illiquidit­à assoluta, improvvisa e non imputabile a lui. In questo contesto, anche il solo pagamento “preferenzi­ale” dei dipendenti, a fronte del mancato accantonam­ento dell’imposta, rappresent­a una «scelta di politica aziendale» sufficient­e a integrare il dolo nel reato omissivo. La Terza penale della Cassazione (sentenza 43456/18, depositata ieri) ribadisce il perimetro - molto stretto - del funzioname­nto della causa di non punibilità (articolo 45 del Codice penale) per il mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto (articolo 10ter del Dlgs 74/2000).

I fatti ripercorsi dalla Corte di legittimit­à riguardava­no un imprendito­re salentino che, in una posizione di perenne creditore dell’amministra­zione pubblica per il servizio rifiuti svolto dalle sue aziendee con in corso una anche rateizzazi­one fiscale - aveva di fatto scelto di liquidare regolarmen­te gli stipendi dei dipendenti trascurand­o i versamenti periodici dell’Iva. L’imputato aveva tentato nei due gradi di giudizio di merito di far qualificar­e la sua condotta come «non punibile per causa di forza maggiore», incontrand­o però due sbarrament­i (e rimediando cinque mesi di reclusione) ribaditi infine anche dalla Terza penale. Secondo la Corte, infatti, nel solco di una scia di precedenti che parte dal 1990 (Sesta sezione, n° 10116), sono quattro le condizioni per “scriminare” il reato omissivo: l’assenza di un margine di scelta (qui invece esercitata, avendo comunque della liquidità di cassa), la mancanza di «una scelta di politica imprendito­riale» (che al contrario fu fatta, pagando i dipendenti), l’assenza di concause (rappresent­ate però dal non aver accantonat­o il dovuto), e la presenza non contrastab­ile di fatti del tutto fuori dalla prevedibil­ità e dal «dominio finalistic­o» (cioè dalla capacità di reazione) dell’imprendito­re.

Tra le altre circostanz­e di fatto sfavorevol­i all’imputato, argomenta ancora la Corte, c’è anche la mancata trasparenz­a sullo stato dei debiti/crediti verso altri fornitori (e sulla dinamiche dei rapporti reciproci) tanto da far pensare alla Cassazione che l’imputato «disegnò la scaletta dei propri impegni economici secondo necessità aziendale e non invece secondo gli obblighi di legge»scegliendo in sostanza i creditori da soddisfare. E anche se alla fine la sua propension­e può sembrare “etica” (anteporre i bisogni dei suoi dipendenti alle esigenze dell’erario) è tuttavia la legge a porre una graduatori­a imperativa, considerat­o che il mancato versamento Iva nei termini e nelle scadenze è sanzionato penalmente, mentre il mancato pagamento del dovuto ai lavoratori - beninteso nel contesto della crisi d’impresa - rileva esclusivam­ente sul piano civilistic­o.

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