Pagò i dipendenti, condannato per omessa Iva
Secondo la Cassazione l’imprenditore non può scegliere chi liquidare
La crisi d’impresa non basta a giustificare penalmente il mancato versamento dell’Iva, a meno che l’imprenditore riesca a dimostrare un’ illiquidità assoluta, improvvisa e non imputabile a lui. In questo contesto, anche il solo pagamento “preferenziale” dei dipendenti, a fronte del mancato accantonamento dell’imposta, rappresenta una «scelta di politica aziendale» sufficiente a integrare il dolo nel reato omissivo. La Terza penale della Cassazione (sentenza 43456/18, depositata ieri) ribadisce il perimetro - molto stretto - del funzionamento della causa di non punibilità (articolo 45 del Codice penale) per il mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto (articolo 10ter del Dlgs 74/2000).
I fatti ripercorsi dalla Corte di legittimità riguardavano un imprenditore salentino che, in una posizione di perenne creditore dell’amministrazione pubblica per il servizio rifiuti svolto dalle sue aziendee con in corso una anche rateizzazione fiscale - aveva di fatto scelto di liquidare regolarmente gli stipendi dei dipendenti trascurando i versamenti periodici dell’Iva. L’imputato aveva tentato nei due gradi di giudizio di merito di far qualificare la sua condotta come «non punibile per causa di forza maggiore», incontrando però due sbarramenti (e rimediando cinque mesi di reclusione) ribaditi infine anche dalla Terza penale. Secondo la Corte, infatti, nel solco di una scia di precedenti che parte dal 1990 (Sesta sezione, n° 10116), sono quattro le condizioni per “scriminare” il reato omissivo: l’assenza di un margine di scelta (qui invece esercitata, avendo comunque della liquidità di cassa), la mancanza di «una scelta di politica imprenditoriale» (che al contrario fu fatta, pagando i dipendenti), l’assenza di concause (rappresentate però dal non aver accantonato il dovuto), e la presenza non contrastabile di fatti del tutto fuori dalla prevedibilità e dal «dominio finalistico» (cioè dalla capacità di reazione) dell’imprenditore.
Tra le altre circostanze di fatto sfavorevoli all’imputato, argomenta ancora la Corte, c’è anche la mancata trasparenza sullo stato dei debiti/crediti verso altri fornitori (e sulla dinamiche dei rapporti reciproci) tanto da far pensare alla Cassazione che l’imputato «disegnò la scaletta dei propri impegni economici secondo necessità aziendale e non invece secondo gli obblighi di legge»scegliendo in sostanza i creditori da soddisfare. E anche se alla fine la sua propensione può sembrare “etica” (anteporre i bisogni dei suoi dipendenti alle esigenze dell’erario) è tuttavia la legge a porre una graduatoria imperativa, considerato che il mancato versamento Iva nei termini e nelle scadenze è sanzionato penalmente, mentre il mancato pagamento del dovuto ai lavoratori - beninteso nel contesto della crisi d’impresa - rileva esclusivamente sul piano civilistico.