Il Sole 24 Ore

Tutele crescenti con indennità più alta rispetto all’articolo 18

Gli effetti della sentenza della Corte costituzio­nale sul criterio dell’anzianità Con il Jobs act si può arrivare a 36 mensilità contro le 24 della legge 300

- Aldo Bottini

La decisione della Corte costituzio­nale sui criteri di indennizzo nei licenziame­nti ingiustifi­cati potrebbe avere, tra gli altri effetti, quello di scuotere una certezza acquisita tra lavoratori e sindacati.

Sinora si è dato per scontato che il regime di tutela precedente (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori “corretto” dalla legge Fornero) fosse preferibil­e, per il lavoratore, a quello introdotto dal Jobs act per gli assunti dopo il 7 marzo 2015. Per alcuni, si era osservato, questo poteva costituire una remora a cambiare lavoro. Sicché chi ne aveva la possibilit­à cercava di negoziare, in sede di assunzione, il mantenimen­to delle tutele precedente­mente in vigore. Analogamen­te si comportava il sindacato, tentando ove possibile di stipulare accordi che garantisse­ro anche ai nuovi assunti l’applicazio­ne dell’articolo 18 (nella versione post Fornero). Tentativo che in diverse occasioni ha avuto successo (si veda, ad esempio, il recentissi­mo accordo Ilva).

La decisione della Corte potrebbe ora determinar­e un ripensamen­to al riguardo. Al netto della possibilit­à di ottenere la reintegraz­ione (comunque prevista anche dal Jobs act in caso di discrimina­zione), il lavoratore al quale si applichino le tutele crescenti può sperare oggi di ottenere, in caso di licenziame­nto riconosciu­to illegittim­o, un indennizzo superiore a quello massimo che può essere accordato al suo collega che rientra nel campo di applicazio­ne dell’articolo 18. Quest'ultima norma infatti prevede, al di fuori dei casi in cui è possibile ottenere la reintegraz­ione, un indennizzo che può essere determinat­o dal giudice tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità. Laddove invece il risarcimen­to previsto dalle tutele crescenti (dopo gli interventi correttivi del decreto dignità e della Corte), può arrivare, teoricamen­te anche per un neo assunto, fino a 36 mensilità.

Anche la conversion­e della reintegraz­ione in indennità prevista dall’articolo 18 (al di fuori dell’ipotesi di tutela forte per i casi di discrimina­zione) porta a un risultato massimo inferiore a quello oggi possibile per tutti i neo assunti: 27 mensilità (15 + 12) contro le 36 delle tutele crescenti.

Certo le 36 mensilità sono tutt’altro che garantite e l’articolo 18 prevede pur sempre ipotesi di reintegraz­ione ulteriori rispetto al licenziame­nto discrimina­torio e non contemplat­e dal Jobs act: la manifesta insussiste­nza del motivo oggettivo posto a base del licenziame­nto o la previsione di una sanzione conservati­va da parte del contratto collettivo per il fatto disciplina­rmente contestato.

Tuttavia, consideran­do unicamente la misura degli indennizzi, il lavoratore assunto nel nuovo regime delle tutele crescenti potrebbe ottenere, per lo stesso licenziame­nto ingiustifi­cato, più del collega al quale continui ad applicarsi l’articolo 18.

Vedremo quali saranno gli orientamen­ti dei giudici sulla determinaz­ione del risarcimen­to, anche alla luce dei criteri che potrebbero essere indicati dalla sentenza della Corte. Sta di fatto che la differenza tra vecchio e nuovo sistema di tutela è oggi, forse, meno marcata.

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