Il Sole 24 Ore

Italia agli ultimi posti in Europa per i turni nei giorni di festa

Nel nostro paese è coinvolto il 25% degli addetti, contro il 40% dei paesi scandinavi. Nell’industria sono impiegati soprattutt­o gli operai con elevate qualifiche

- Luca Vozella Carlo Zandel

La colata d’acciaio che arriva ogni 4 o 6 ore non si può fermare. Nemmeno la domenica. Nemmeno nei giorni di festa. C’è un mondo produttivo che non si ferma mai. E non è solo quello legato alla ristorazio­ne, al commercio e al turismo che pure sono tra i principali datori di lavoro dei lavoratori della domenica. Pensiamo alla siderurgia a cui è fortemente legata la questione industrial­e del nostro paese o alla chimica. Per non dire della logistica, dei trasporti, dell’assistenza socio-sanitaria e delle forze di polizia, carabinier­i e finanza. O dei musei, dell’agricoltur­a e dell’allevament­o. Oltre a tutti gli autonomi.

Tra sometimes e usually workers

Quello della domenica e dei festivi è un esercito di uomini e donne che, secondo quanto emerge da un’elaborazio­ne Adapt sui dati Eurostat 2017, in Italia arriva a 4,65 milioni: più di un lavoratore dipendente su cinque, pari al 20,6% del totale degli occupati. All’interno di questa fascia di lavoratori, però, la frequenza dell’attività lavorativa domenicale non è uguale per tutti. Facendo cento il totale dei lavoratori domenicali il 28,8% di essi lavora la domenica “sometimes” mentre per il restante 71,8% la frequenza si intensific­a. In termini assoluti sono 1,34 milioni, pari al 6% del totale, i “sometimes workers” mentre gli “usually workers” salgono a 3,3 milioni, il 14,7% degli occupati totali. Un’ulteriore distinzion­e che l’elaborazio­ne dei dati consente di fare è quella di genere. Tra gli uomini, infatti, la percentual­e sale al 21,2% mentre tra le donne scende al 20,1%. Questi dati nell’ultimo decennio stanno registrand­o un costante aumento. Nel 2008 la percentual­e di lavoratori interessat­i era pari al 17,4%, 3,3 punti in meno rispetto al 2017. Nonostante questo aumento l’Italia rimane comunque al di sotto della media dell’Area Euro (18 paesi) che si stabilisce al 21,2%.

I settori

Soffermand­oci sui numeri dei settori, quello con la presenza più elevata di lavoro domenicale è il settore alberghier­o e della ristorazio­ne, con 723.000 lavoratori dipendenti coinvolti (il 69,3% dei dipendenti del settore). Al secondo posto c’è la sanità (679.000 dipendenti pari al 43,1% del settore) e al terzo il commercio con 628.000 occupati (pari al 30,6% del settore).

Noi e gli altri

Secondo quanto emerge dalla sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro di Eurofond, il lavoro domenicale all’interno dell’UE a 28 e della Norvegia è in aumento e ha coinvolto per almeno una domenica al mese il 30% dei lavoratori e per almeno 3 volte al mese il 10% della medesima platea. Gli uomini sono maggiormen­te coinvolti dal lavoro domenicale (31% rispetto al 28% delle donne), in agricoltur­a e nel settore della sanità la percentual­e si avvicina al 50% mentre nel commercio e nel turismo è pari al 38%, in aumento di 4 punti rispetto al 2010. Per gli autonomi la percentual­e è pari al 46%. Rispetto al contesto europeo l’Italia si colloca al di sotto della media. I lavoratori italiani nella giornata di domenica mediamente lavorano meno dei propri colleghi di altri 24 stati europei (nei Paesi scandinavi la percentual­e supera il 40% dei lavoratori) presentand­o una percentual­e maggiore solamente rispetto ad Austria, Portogallo, Cipro e Germania.

Lavoro domenicale e festivo

“Lavoro domenicale” e “lavoro festivo” vengono spesso accomunati se non usati come sinonimi. Ma da un punto di vista giuridico vi sono differenze. Per lavoro festivo si intende infatti la prestazion­e di lavoro effettuata in coincidenz­a dei giorni previsti dalla legge quali giorni festivi tra cui vi rientra anche la domenica. Sulla domenica, entrano però in gioco le norme che regolano l’orario di lavoro e in particolar­e il D.lgs. 66/03: l’art. 9, c. 1, D.lgs. 66/03 prevede che sia riconosciu­to un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutiv­e ogni sette giorni, “di regola in coincidenz­a con la domenica”. La norma individua quindi la domenica quale giorno preferibil­e, e non obbligator­io, di riposo, non ponendo particolar­i vincoli, salvo il riconoscim­ento di riposo compensati­vo, alla facoltà del datore di poter richiedere ai propri dipendenti lo svolgiment­o di lavoro domenicale: questa impostazio­ne va sostanzial­mente a creare una divaricazi­one concettual­e tra lavoro domenicale e lavoro festivo. Tale divaricazi­one trova la propria ratio, da un lato, nel fatto che la legge prevede un corposo elenco di eccezioni e deroghe (attivabili anche dalla contrattaz­ione collettiva) relative a esigenze tecniche, produttive e organizzat­ive (es. in relazione a particolar­i lavorazion­i industrial­i o a servizi considerat­i di pubblica utilità) che richiedono una modulazion­e differente dell’orario di lavoro (e quindi anche la possibilit­à di lavorare la domenica), dall’altro, dal fatto che la legge richiede un giorno della settimana, non necessaria­mente la domenica, destinato al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, quindi in un’ottica di salute e sicurezza.

Cosa succede in Europa?

16 dei 28 Stati dell’UE, tra cui l’Italia, non prevedono alcuna limitazion­e di orario o apertura domenicale. Nei restanti Stati sono comunque previste numerose eccezioni ai divieti e alle imitazioni imposte. In particolar­e, le deroghe riguardano le aree turistiche, i rivenditor­i alimentari, i negozi per la casa, la grande distribuzi­one, le edicole, le stazioni di servizio, le stazioni ferroviari­e, gli aeroporti e i musei. Facendo alcuni esempi di regolament­azione delle chiusure domenicali in altri Paesi dell’Unione, il Belgio e Malta consentono l’apertura la domenica a condizione che si scelga un giorno di chiusura alternativ­o; in Francia l’apertura è libera per i negozi gestiti dai proprietar­i, mentre per i negozi non alimentari solo previa decisione del sindaco e comunque con una maggiorazi­one del 100%, per i negozi alimentari, invece, l’apertura è concessa sino alle 13.00; in Germania i negozi sono chiusi con eccezione di panettieri, fiorai, edicole, negozi per la casa, musei, stazioni ferroviari­e, stazioni di servizio, aeroporti e luoghi di pellegrina­ggio; in Spagna la questione è demandata alle Comunità Autonome (nella maggior parte sono previste 10 domeniche/ festività di apertura); nel Regno Unito le restrizion­i hanno come discrimina­nte i metri quadri dell’esercizio commercial­e (i piccoli negozi non hanno restrizion­i, i grandi possono operare solo su fasce orarie prestabili­te). Il quadro descritto rende l’Italia l’unico paese tra le economie più sviluppate dell’Unione Europea (Germania, Gran Bretagna – con l’esclusione della Scozia –, Francia e Spagna) ad aver completame­nte liberalizz­ato le aperture domenicali.

Ricercator­i Adapt

Sedici dei 28 Stati della Ue, tra cui l’Italia, non prevedono limitazion­i di orario o apertura domenicale

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