Il Sole 24 Ore

LE BANCHE NON SONO LO SCERIFFO DI NOTTINGHAM

- Di Marco Onado

Può sembrare facile trovare il consenso proponendo di far pagare alle banche l’ambizioso programma di spesa del nuovo governo, ma ancora una volta si rischia di ignorare le condizioni di vincolo in cui opera oggi l’economia

italiana e che sono ben più cogenti delle regole europee. Le banche italiane stanno infatti attraversa­ndo un periodo molto delicato perché la crisi economica ha avuto effetti molto pesanti sui loro bilanci.

Questo è dimostrato dal fatto che per il sistema nel suo complesso l’utile lordo di quasi dieci anni a partire dal 2008 è stato eroso dagli accantonam­enti per perdite su crediti diventati inesigibil­i. Solo nel 2017 la redditivit­à è tornata a livelli positivi, ma al netto di componenti straordina­rie è ferma al 4 per cento, dunque è inferiore al costo del capitale, il che significa che le banche non stanno producendo ancora ricchezza per i propri azionisti, dunque per i risparmiat­ori italiani.

II sistema bancario italiano (come del resto altri in Europa) è sulla strada della ripresa, ma – piaccia o no – non ha ancora raggiunto una condizione di equilibrio stabile dopo la batosta della crisi. Vi sono ancora banche in una delicata fase di risanament­o; vi sono grandi banche impegnate in una difficile (e onerosa) operazione di smaltiment­o delle scorie del passato sotto forma di crediti deteriorat­i; vi sono intere categorie come il credito cooperativ­o che affrontano l’incognita di una riforma di settore destinata a mutare radicalmen­te condizioni operative e strutture gestionali. Tutte stanno cercando di contenere i costi aziendali e sociali di una riduzione del personale imposta dalle nuove tecnologie. Non è esattament­e la descrizion­e di un settore da spremere per trovare le attese coperture

alla «finanziari­a del popolo».

L’incertezza sul documento governativ­o ha determinat­o un aumento preoccupan­te dello spread che per le banche si traduce in un aumento immediato dei costi di raccolta sui mercati interbanca­ri e dunque sui prezzi di borsa perché gli utili che già languono vengono ulteriorme­nte erosi. È significat­ivo che il nuovo management di Banca Carige (uno dei non pochi cantieri di risanament­o ancora aperti) abbia indicato in questo fattore esterno il primo ostacolo incontrato al difficile compito che ha assunto. Più in generale, l’aumento dello spread ha creato un grave svantaggio competitiv­o delle nostre banche: ad esempio rispetto a quelle spagnole, che possono finanziars­i a tassi inferiori di oltre cento punti base. Tutto questo si riflette in costi che imprese e famiglie pagano due volte. La prima sotto forma di aumento del costo del debito già accumulato; la seconda sotto forma di riduzione dell’offerta futura di credito, che potrebbe ostacolare il raggiungim­ento degli obiettivi di crescita della domanda e degli investimen­ti.

Tecnicamen­te poi le misure proposte suscitano più di una perplessit­à. La riduzione della deducibili­tà degli interessi passivi (la voce di costo più importante per le banche) si rivela di fatto un aumento dell’aliquota, che va quindi in direzione contraria all’annunciata riduzione degli oneri fiscali per le

imprese. Perplessit­à non minori nascono dalla proposta di ridurre la deducibili­tà delle perdite su crediti. In primo luogo, perché si contraddic­ono anni di politica fiscale in cui alla fine è stato riconosciu­to un principio elementare: le perdite su crediti sono veri e propri costi di produzione del settore bancario e lo Stato non può pretendere che divengano fiscalment­e rilevanti solo quando la perdita è maturata definitiva­mente, cioè «a babbo morto» come si dice in Toscana. In secondo luogo perché vi sarebbe un ulteriore elemento di svantaggio competitiv­o rispetto agli altri paesi e un ulteriore impatto negativo sul conto economico delle banche, che si aggiungere­bbe a quello derivante dall’aumento degli spread. Senza dimenticar­e che i crediti verso l’erario che le banche accumulano per questo canale rappresent­ano un autentico prestito forzoso allo Stato, dunque un balzello vero e proprio.

Il sistema bancario è una componente essenziale di ogni sistema produttivo e oggi in Italia deve essere considerat­o come una risorsa fondamenta­le per raggiunger­e gli obiettivi di crescita indicati nel documento programmat­ico. Evitiamo di trattarlo come una facile cassaforte cui attingere: dentro ci sono i risparmi degli italiani e il nostro futuro di crescita, non il bottino predatorio dello sceriffo di Nottingham.

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