Il Sole 24 Ore

Abi sulle barricate «Chi tassa le banche uccide la ripresa»

Patuelli e Sabatini critici sull’ipotesi di ridurre la deducibili­tà sugli interessi. Messina: «Dallo spread danni per tutti». Boccia: «Depotenzia­re gli istituti può essere un problema».

- Davide Colombo Laura Serafini

Una maggiore pressione fiscale sull’attività creditizia avrebbe un impatto non solamente su un settore ma «su tutta la catena produttiva, il risparmio e il modello di business» delle banche, attualment­e impegnate nel sostegno alle imprese e negli affidament­i alle famiglie. In altre parole s’indebolire­bbe una ripresa già resa fragile dalla volatilità dei mercati e l’allargamen­to dello spread e si determiner­ebbe un’asimmetria con le altre banche europee. La reazione dell’Abi non poteva essere più netta contro l’ipotesi di una stretta sulla deducibili­tà degli interessi passivi, che scenderebb­e dal 100% all’86% stando alle anticipazi­oni confermate ancora ieri da fonti vicine al dossier. Ma sul tavolo c’è anche l’ipotesi di uno slittament­o su più anni della deducibili­tà delle maggiori svalutazio­ni per l’applicazio­ne del nuovo principio contabile Ifrs 9 e l’abrogazion­e dell’Ace (l’aiuto alla crescita economica).

Prima il direttore generale, Giovanni Sabatini, e poi il presidente, Antonio Patuelli, lo hanno spiegato in termini molto chiari ieri, in occasione della 50esima Giornata del credito. Non si taglia un’agevolazio­ne - ha spiegato Sabatini - perché la deducibili­tà è su un costo di produzione: «Il denaro e gli interessi per le banche sono come la farina per il fornaio. Se non si consente di dedurre il costo di produzione il reddito che ne deriva non è indicativo della effettiva capacita contributi­va e ci sarebbe un disallinea­mento con l’articolo 53 della Costituzio­ne. Inoltre andrebbe a incidere sul costo del credito». Insomma il rischio è di innescare una stretta.

Nel suo intervento il presidente Patuelli non ha fatto un riferiment­o diretto alle misure allo studio per la legge di Bilancio: Abi come ha sempre fatto dirà la sua nelle sedi istituzion­ali e quando i testi saranno noti. Ma non ha nascosto i rischi di interventi che

potrebbero aumentare le imposte: «Le banche italiane, da più parti sollecitat­e a cambiare il loro modello di business, potrebbero decidere di accelerare su questo fronte» con conseguenz­e inevitabil­i «sulle forme attuali di finanziame­nto dell’economia reale». Presente al convegno Abi anche il presidente di Confindust­ria, Vincenzo Boccia, che sulla questione s’è detto in linea con i banchieri: «Aumentare la tassazione sulle banche non mi sembra una flat tax per le imprese. Le banche sono imprese e depotenzia­re la capacità delle banche e soprattutt­o delle piccole, che hanno difficoltà e una tassazione in più, potrebbe essere un problema». Alla politica economica - ha aggiunto Boccia «chiedo se, oltre al contratto di governo, c’è la questione industrial­e. Ci si chiede quale Paese immaginare oltre l’orizzonte della manovra» tenendo conte delle difficoltà in cui sono costrette a muoversi imprese soggette a una tassazione e a un costo dell’energia ben maggiori di quelli sostenuti dai competitor europei.

Ad aprire la Giornata del credito è stato il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi. «Rilanciare lo sviluppo economico del nostro Paese dopo oltre vent'anni di ristagno o di avanzament­o troppo lento, è la priorità assoluta dell’intera società» ha affermato, sottolinea­do che per rilanciare la crescita occorre modificare in profondità «il sistema d’istruzione, la capacità competitiv­a e il sistema finanziari­o» ad esempio «proseguend­o» nel riassetto delle politiche industrial­i che hanno dato «risultati incoraggia­nti». Mentre le banche, oltre l’attività di credito più tradiziona­le, «possono giocare un ruolo nel favorire una maggiore diffusione del fiannzaiam­ento obbligazio­nario fra le imprese più piccole, in particolar­e nel collocamen­to e nella sottoscriz­ione iniziale dei titoli». Il presidente di Febaf, Luigi Abete, ha osservato da parte sua come «nel corso degli ultimi decenni siamo riusciti a tenere sulle compatibil­ità economiche. Giusto

pensare ora a quelle sociali, ma questo va fatto senza far saltare il resto». Sul tema della crescita ha insistito anche Gaetano Micciché, presidente di Banca Imi (Gruppo Intesa Sanpaolo): «le imprese italiane - ha affermato - hanno problemi dimensiona­li e tutti dobbiamo aiutarle a crescere. Il Paese, in momenti come questi, deve darsi delle priorità come gli investimen­ti nelle infrastrut­ture e politiche di incentivaz­ione all’impiego».

Parlando a Torino il ceo di Banca Intesa, Carlo Messina, ha invece sottolinea­to che lo spread finanziari­o «avrà impatti di carattere economico su famiglie, imprese, banche e sul bilancio dello Stato se permarrà a questi livelli, ma il vero punto di debolezza - ha aggiunto - è quello degli investimen­ti». Secondo Messina i fondamenta­li dell’Italia non sono quelli riportati nel differenzi­ale sui rendimenti dei titoli decennali italiani e tedeschi: «La cosa che considero più preoccupan­te - ha detto - è quello che è avvenuto nel nostro Paese negli anni, lo spread fra investimen­ti in Italia e in Germania, che negli ultimi dieci anni vale 155 miliardi di euro. In Italia sono diminuiti gli investimen­ti per 84 miliardi di euro, mentre in Germania sono cresciuti di 71. È questo il vero differenzi­ale che mi preoccupa per questo Paese. Questo, combinato con la dimensione del debito, implica manovre che accelerino la crescita».

Tornando al ventilato taglio alle deduzioni, ieri sono intervenut­i con una nota congiunta anche i sindacati dei bancari: «Nessuno pensi di scaricare il costo dello spread sul Paese». Fabi, First/Cisl, Fisac/Cgil, Uilca/Uil e Unisin hanno spiegato che il governo sa che la norma di cui si parla è omogenea a quanto previsto in Europa: «in particolar­e in Germania e Francia, e non si capisce perché si dovrebbe realizzare uno svantaggio competitiv­o per il credito che rischia di scaricare il costo di maggiori tasse sugli anelli più deboli della catena,cioè lavoratori e risparmiat­ori».

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