MAXI-PIANO DELLE INFRASTRUTTURE CON REGOLE CHIARE E TRASPARENTI
Quello del nostro Paese non è soltanto un territorio vulnerabile a causa del carattere intensamente sismico di numerose contrade e del suolo particolarmente friabile di tante zone lungo la dorsale appenninica e in varie località costiere, come ben sappiamo. Ma questa sua fragilità naturale è aggravata dalle profonde e reiterate ferite inflitte all’ambiente da una spirale perversa fra incuria e degrado, fra speculazioni immobiliari e abusivismo edilizio, fra inquinamenti ecologici e pratiche dissennate nell’uso delle risorse. Tant’è che non si contano gli smottamenti, le frane, i crolli, le esondazioni di torrenti, le alluvioni susseguitesi da oltre sessant’anni a questa parte un po’ dovunque e in ogni stagione, ancor prima degli effetti nefasti prodotti dal surriscaldamento del clima.
Di qui il rischio che finisca per diffondersi nell’ambito dell’opinione pubblica una sorta di rassegnato fatalismo nei riguardi del dissesto idrogeologico che incombe sul “Bel Paese”. D’altronde si è dovuto purtroppo constatare che, dopo un primo momento in cui al lutto per le vittime si associa l’impegno delle autorità di governo a sanare al più presto i danni materiali provocati da una certa sciagura e a fare di tutto per cercare di prevenire altre disastrose calamità, alle parole non seguono poi puntualmente i fatti concreti o i provvedimenti man mano assunti risultano largamente insufficienti.
C’è perciò da augurarsi che quanto ha ora promesso il governo gialloverde, all’indomani della tragedia di Genova, venga tradotto in pratica: ossia, l’attuazione di un’opera metodica volta alla messa in sicurezza di strade e autostrade, gallerie e viadotti, edifici scolastici e ospedalieri, mediante tecniche costruttive aggiornate, materiali eccellenti e più di un’attenta verifica.
Nel contempo occorre, però, porre rimedio a una cronica e palese carenza di adeguate infrastrutture che valgano ad allineare l’Italia agli standard dei Paesi europei più avanzati. Continuiamo infatti a soffrire su questo versante di un serio handicap che si riflette pesantemente sia sulla qualità della vita e sull’organizzazione sociale sia sulla produttività complessiva del sistema-Paese e sulle sue potenzialità competitive a livello internazionale. Risultano perciò controproducenti tanto certe ipertrofiche pastoie burocratiche che certe remore di una “cultura del no” che considera pregiudizialmente la costruzione di una data opera alla stregua di uno spreco di denaro pubblico o di una mangiatoia per un manipolo di affaristi.
Di fatto le infrastrutture rappresentano attualmente non più del 2% del Pil. È quindi indispensabile dar corso a un programma di governo che comporti, unitamente alle misure adesso annunciate per la manutenzione e il monitoraggio permanente di determinati impianti basilari e civili in funzione, il compimento di varie iniziative già in corso (come la Tav, la Tap, il Terzo Valico del Giovi e altre vie di collegamento più rapide interne e transazionali) nonché la creazione di nuove infrastrutture riguardanti linee ferroviarie veloci e trasporti interurbani, scali portuali e servizi intermodali, acquedotti ed energie rinnovabili, telecomunicazioni e attrezzature logistiche, centri di ricerca e parchi tecnologici.
In sostanza, quello di cui ha bisogno il nostro Paese è un piano organico di investimenti nelle infrastrutture, con una consistenza complessiva e un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, agli effetti di un “salto di qualità”. Un piano, quindi, ben congegnato in modo che abbia quale asse portante un insieme di regole chiare e di procedure trasparenti, nonché una serie di strumenti operativi efficaci e un impiego coordinato dei fondi comunitari di coesione territoriale, in grado perciò di contribuire a una crescita del sistema economico e dell’occupazione. In tal caso, la Commissione di Bruxelles non potrebbe, a rigore, respingere una richiesta del governo italiano per ottenere dei margini più ampi di flessibilità, rispetto ai parametri della Ue sulla legge di bilancio, al fine di disporre di adeguate risorse finanziarie per la realizzazione di un progetto di ordine strutturale destinato, in pratica, a ridurre progressivamente (mediante il suo impatto propulsivo a favore della produzione e del lavoro) il gap fra Pil e debito pubblico.