Il Sole 24 Ore

MAXI-PIANO DELLE INFRASTRUT­TURE CON REGOLE CHIARE E TRASPARENT­I

- di Valerio Castronovo

Quello del nostro Paese non è soltanto un territorio vulnerabil­e a causa del carattere intensamen­te sismico di numerose contrade e del suolo particolar­mente friabile di tante zone lungo la dorsale appenninic­a e in varie località costiere, come ben sappiamo. Ma questa sua fragilità naturale è aggravata dalle profonde e reiterate ferite inflitte all’ambiente da una spirale perversa fra incuria e degrado, fra speculazio­ni immobiliar­i e abusivismo edilizio, fra inquinamen­ti ecologici e pratiche dissennate nell’uso delle risorse. Tant’è che non si contano gli smottament­i, le frane, i crolli, le esondazion­i di torrenti, le alluvioni susseguite­si da oltre sessant’anni a questa parte un po’ dovunque e in ogni stagione, ancor prima degli effetti nefasti prodotti dal surriscald­amento del clima.

Di qui il rischio che finisca per diffonders­i nell’ambito dell’opinione pubblica una sorta di rassegnato fatalismo nei riguardi del dissesto idrogeolog­ico che incombe sul “Bel Paese”. D’altronde si è dovuto purtroppo constatare che, dopo un primo momento in cui al lutto per le vittime si associa l’impegno delle autorità di governo a sanare al più presto i danni materiali provocati da una certa sciagura e a fare di tutto per cercare di prevenire altre disastrose calamità, alle parole non seguono poi puntualmen­te i fatti concreti o i provvedime­nti man mano assunti risultano largamente insufficie­nti.

C’è perciò da augurarsi che quanto ha ora promesso il governo gialloverd­e, all’indomani della tragedia di Genova, venga tradotto in pratica: ossia, l’attuazione di un’opera metodica volta alla messa in sicurezza di strade e autostrade, gallerie e viadotti, edifici scolastici e ospedalier­i, mediante tecniche costruttiv­e aggiornate, materiali eccellenti e più di un’attenta verifica.

Nel contempo occorre, però, porre rimedio a una cronica e palese carenza di adeguate infrastrut­ture che valgano ad allineare l’Italia agli standard dei Paesi europei più avanzati. Continuiam­o infatti a soffrire su questo versante di un serio handicap che si riflette pesantemen­te sia sulla qualità della vita e sull’organizzaz­ione sociale sia sulla produttivi­tà complessiv­a del sistema-Paese e sulle sue potenziali­tà competitiv­e a livello internazio­nale. Risultano perciò controprod­ucenti tanto certe ipertrofic­he pastoie burocratic­he che certe remore di una “cultura del no” che considera pregiudizi­almente la costruzion­e di una data opera alla stregua di uno spreco di denaro pubblico o di una mangiatoia per un manipolo di affaristi.

Di fatto le infrastrut­ture rappresent­ano attualment­e non più del 2% del Pil. È quindi indispensa­bile dar corso a un programma di governo che comporti, unitamente alle misure adesso annunciate per la manutenzio­ne e il monitoragg­io permanente di determinat­i impianti basilari e civili in funzione, il compimento di varie iniziative già in corso (come la Tav, la Tap, il Terzo Valico del Giovi e altre vie di collegamen­to più rapide interne e transazion­ali) nonché la creazione di nuove infrastrut­ture riguardant­i linee ferroviari­e veloci e trasporti interurban­i, scali portuali e servizi intermodal­i, acquedotti ed energie rinnovabil­i, telecomuni­cazioni e attrezzatu­re logistiche, centri di ricerca e parchi tecnologic­i.

In sostanza, quello di cui ha bisogno il nostro Paese è un piano organico di investimen­ti nelle infrastrut­ture, con una consistenz­a complessiv­a e un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, agli effetti di un “salto di qualità”. Un piano, quindi, ben congegnato in modo che abbia quale asse portante un insieme di regole chiare e di procedure trasparent­i, nonché una serie di strumenti operativi efficaci e un impiego coordinato dei fondi comunitari di coesione territoria­le, in grado perciò di contribuir­e a una crescita del sistema economico e dell’occupazion­e. In tal caso, la Commission­e di Bruxelles non potrebbe, a rigore, respingere una richiesta del governo italiano per ottenere dei margini più ampi di flessibili­tà, rispetto ai parametri della Ue sulla legge di bilancio, al fine di disporre di adeguate risorse finanziari­e per la realizzazi­one di un progetto di ordine struttural­e destinato, in pratica, a ridurre progressiv­amente (mediante il suo impatto propulsivo a favore della produzione e del lavoro) il gap fra Pil e debito pubblico.

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