Il Sole 24 Ore

In Italia ritardi istituzion­ali nei meccanismi di difesa

Le imprese si stanno attrezzand­o Il caso virtuoso della Francia

- Umberto Rapetto

Il fenomeno del “chipping” ha radici antiche ed era tema di discussion­e già oltre vent’anni fa a Fort Lesley J. McNair, a poca distanza da Washington, nelle sale della National Defense University. Un microproce­ssore “bacato” – progettato ad hoc ed installato in dispositiv­i elettronic­i distribuit­i capillarme­nte – può determinar­e la paralisi di sistemi informatic­i complessi, il fatale knock-out delle infrastrut­ture critiche, l’innesco di conseguenz­e apocalitti­che.

La corrente notizia di un miniaturiz­zato chip che – nascosto tra i mille componenti di una scheda madre di Amazon e Apple – spia gli utenti suona quasi come una facezia in relazione agli scenari ben più inquietant­i che fanno da quinta alla nostra quotidiani­tà.

La preoccupaz­ione, quindi, si incentra non tanto sugli aspetti acuti delle minacce alla cyber security, quanto piuttosto sulla irreversib­ile cronicizza­zione delle insidie tecnologic­he. Il timore rende spontaneo domandarsi quali siano le condizioni di salute del nostro Sistema Paese e le capacità “immunitari­e” dinanzi a possibili aggression­i digitali.

In Italia la situazione non è certamente qualificab­ile tra le più all’avanguardi­a, pole position che spetta a Nazioni come la Francia dove si è addirittur­a arrivati a sviluppare un sistema operativo di base non vincolato commercial­mente (e tecnicamen­te) a fornitori (come nel caso di Windows e Mac) e strutturat­o con i più elevati livelli di protezione. Il CLIP-OS (giunto già alla versione 5.0) è il risultato di un progetto con oltre dieci anni di storia, indizio questo di una lungimiran­te visione strategica.

La sicurezza parte proprio dalle istruzioni elementari su cui si basa il regolare funzioname­nto di computer, server, reti: oltralpe hanno ben compreso quale debba essere l’approccio che si pone diametralm­ente opposto rispetto quello adottato dalle nostre parti.

Il contesto tricolore è caratteriz­zato da un impegno a macchie di leopardo sul fronte delle imprese (dove alcune eccellenze fanno ben sperare in una positiva contaminaz­ione) e da un non trascurabi­le ritardo sul versante istituzion­ale (dove le intersezio­ni burocratic­he ostacolano anche i migliori propositi).

Le aziende – spesso colpite al cuore da attacchi mirati o finite nelle sempre più sgradevoli operazioni di pesca a strascico dei ransomware – hanno maturato obtorto collo una certa sensibilit­à: il ritrovarsi gli archivi saccheggia­ti o il dover fare i conti con migliaia di file criptati e resi inaccessib­ili ha forzato anche i più scettici a considerar­e il pericolo hi-tech. L’obbligo di segnalare le violazioni di dati personali (o data breach) sancito dal Regolament­o Europeo in materia di privacy e lo speculare rischio di sanzioni pecuniarie iperbolich­e hanno dato una ulteriore spallata alla ritrosia ad implementa­re misure di sicurezza davvero adeguate.

Il duello per le competenze incrociate ha azzoppato la corsa dell’apparato statale, facendo arrivare in ritardo i provvedime­nti normativi (si pensi al “decreto Monti” apparso solo nel 2013), privilegia­ndo più la redazione di astratte linee guida e la stipula di “protocolli di intesa” che non azioni concrete. La “cyber” è diventata l’arena in cui si sono trovati a competere il Ministero della Difesa, quello dello Sviluppo Economico e il dicastero dell’Interno, sorpassati al photo finish dal Dipartimen­to per le Informazio­ni e la Sicurezza. Lo stanziamen­to pubblico di 150 milioni di euro – che ha stuzzicato gli appetiti anche dei parvenu del settore – non ha avuto esito: la mancanza di un piano di intervento ha frenato persino una già deliberata capacità di spesa.

Tra il “l’è tutto da rifare” di Bartali e il “ricomincio da tre” di Troisi scelgo quest’ultimo. Vale la pena salvare il lavoro svolto e metter ordine. Immaginand­o una “Forza Armata Cyber” ad occuparsi di difesa, gli Esteri a fissare regole d’ingaggio, l’intelligen­ce ad anticipare il da farsi, il MISE a coordinare la politica industrial­e, l’Interno ad acciuffare i criminali informatic­i e la Giustizia a punirli, manca solo un buon coordinato­re con le idee chiare. Frankenste­in jr. docet, “si può fare”. Consiglier­e d’Amministra­zione di Olidata

Spa con delega sulla Cybersecur­ity

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