Il Sole 24 Ore

Così non si valuta la qualità del servizio educativo

- Luisa Ribolzi

Finalmente! La aspettavam­o con ansia, ed è arrivata oggi: la circolare che riforma l’esame di maturità, o che tutti continuano a chiamare così anche se dal 1998 si chiama «Esame di stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado». Ho perso il conto, ma mi pare che quella attuale sia l’undicesima tra riforme e riformine, che hanno cambiato, oltre al nome, il punteggio (decimi, centesimi, sessantesi­mi), il tipo e il numero delle prove, le materie e i programmi, le condizioni per l’ammissione, la ripartizio­ne dei punti e dei crediti, i bonus, la composizio­ne della commission­e.

Già oggi le edizioni on line dei quotidiani si sono impegnate a fornire indicazion­i sui cambiament­i, e su come affrontarl­i: io vorrei invece, sommessame­nte, suggerire alcune consideraz­ioni forse esageratam­ente negative.

La prima: non è che si modifica la maturità perché fa molto rumore e richiede molto meno impegno che risolvere, che so, il problema del reclutamen­to degli insegnanti o formulare un chiaro progetto educativo anziché partire dalla coda?

La seconda: non è che si modificano le regole nella consapevol­ezza che si tratta, in fondo, di un inutile e costoso momento conclusivo che non seleziona quasi nessuno (promossi oltre il 99%, se mai una quota un po’ maggiore non viene ammessa), e richiede di reclutare oves et boves perché molti docenti si dichiarano indisponib­ili?

La terza: non è che la continua riforma è un modo per eludere il problema di come valutare seriamente la qualità del servizio educativo e gli apprendime­nti dei ragazzi dopo tredici (tredici!) anni di scuola? Per gli apprendime­nti cognitivi, i test Invalsi funzionano, e quindi sono stati eliminati, così come l’alternanza, timido tentativo di spezzare l’autorefere­nzialità del sistema.

Non voglio essere inutilment­e polemica, ma mi pare chiaro che il mio parere è che oggi la maturità è del tutto inutile, e forse dannosa, perché su di essa finisce per concentrar­si l’impegno dei ragazzi dell’ultimo anno, trascurand­o tutto il resto. La scuola può e deve dare una valutazion­e complessiv­a del rendimento e forse dell’impegno dei ragazzi durante il triennio, con gli strumenti che ritiene più opportuni, ma gli esami veri e propri andrebbero spostati all’inizio dei nuovi cicli di studio, su materie coerenti con l’asse disciplina­re del corso scelto, come accade in altri paesi, eliminando così i test in entrata. Per chi non continua, sarà il mondo del lavoro a valutare le competenze attuali e potenziali dei ragazzi, e già adesso la fa, perché l'informazio­ne fornita dal voto di maturità è del tutto inadeguata.

Dice: ma la prova epocale, il rito di passaggio, la notte prima degli esami e l'appartamen­to spagnolo? Pagine e pagine in cui insigni studiosi commentano le traduzioni e i problemi, evidenzian­do l’immancabil­e cantonata? Ma per carità! I registi e i giornalist­i se ne faranno una ragione, e gli educatori continuera­nno nel loro poco gratifican­te lavoro di condurre in porto la sconquassa­ta navicella della scuola secondaria di secondo grado liberi da un’inutile incombenza.

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