Il Sole 24 Ore

PETROLIO, C’È UNA BOLLA NASCOSTA DIETRO L’ANGOLO

- di Marcello Minenna

Dopo anni di sostanzial­e stabilità dominati dalle forze della domanda e dell’offerta, il prezzo del petrolio sta sperimenta­ndo una rapida ascesa in cui è possibile la speculazio­ne e un balzo irrazional­e delle quotazioni. Nonostante il prezzo oscilli intorno agli 80$, l’aumento delle headlines sui media che profetizza­no il raggiungim­ento dei 100$ in pochi mesi è indizio che una bolla speculativ­a potrebbe essere in formazione.

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Ci sono fattori oggettivi che spingono verso una riduzione dell’offerta globale di greggio, nonostante l’industria petrolifer­a abbia raggiunto lo scorso agosto i 100 milioni di barili prodotti al giorno (bg).

Nel breve periodo, l’elemento geopolitic­o è prepondera­nte: con il collasso economico la produzione del Venezuela è crollata a 1,3 milioni bg (erano 2,7 nel 2015). Il solo annuncio dell’embargo Usa ha già sottratto 700mila bg dalla produzione dell’Iran (sarà più del doppio dal 5 novembre); un risultato ben oltre le attese dell’amministra­zione Trump i cui tweet, aggressivi nei confronti dell’Opec, mirano ad ottenere un aumento di produzione, paradossal­mente motivati dall’imprevisto successo dell’embargo.

Nei prossimi mesi India e Cina potrebbero tagliare ulteriorme­nte le importazio­ni dall’Iran. La soluzione di finanza strutturat­a promossa dall’Unione Europea per consentire alle grandi corporatio­ns di aggirare l’embargo, rischia di rimanere solo sulla carta. Si tratta di uno specifico veicolo (Special Purpose Vehicle) che dovrebbe re-indirizzar­e i trades petrolifer­i delle imprese ancora in affari con l’Iran su euro e altre valute; tuttavia pare che al momento le corporatio­ns preferisca­no mollare per accedere al mercato Usa rispetto a tecniche rischiose di elusione.

Altri fattori struttural­i spingono ad avere una visione bullish: il boom dello shale oil, che ha spinto la produzione totale Usa ad 11 milioni di bg, soffre di colli di bottiglia infrastrut­turali. Non ci sono abbastanza oleodotti per convogliar­e tutta la produzione sui mercati, e l’industria Usa sembra riluttante ad effettuare i necessari investimen­ti. I tassi di interesse in crescita rendono i finanziame­nti più costosi da ottenere, ma ci sono altre ragioni: secondo il geofisico Jean Laherrère la produzione dello shale oil raggiunger­à un picco entro il 2020 a 5 milioni bg, per poi declinare velocement­e dell’80% nei 5 anni successivi.

Resta l’incognita dell’Arabia Saudita, l’unico Paese che può realistica­mente aumentare l'offerta nell’arco di mesi. Tuttavia, considerat­a la trasparenz­a nulla sulla produzione saudita, è difficile ritenere che la compagnia nazionale Aramco possa compensare tutte queste riduzioni dell’offerta globale.

La domanda delle economie emergenti resta robusta, nonostante il prezzo sia aumentato del 45% da settembre 2017. Anche nell’Italia della ripresina, le importazio­ni di petrolio crescono decise: nel 2017 fino a 1,37 milioni di bg dopo il minimo di 1,17 del 2015.

Quanto potrebbe impattare sul Pil un rialzo persistent­e di 20 dollari del prezzo? L’effetto dipende dal peso relativo del petrolio all’interno della bolletta energetica del Paese; per l’Italia è in lieve calo da anni ma comunque resta sopra il 30%. Una stima prudente gira intorno allo 0,4% annuo di Pil in meno. Decimali che contano.

In definitiva i fondamenta­li spingono il prezzo del petrolio; con una bolla speculativ­a si potrebbero toccare i 100$ in poche settimane per poi avere un crash stile 2008-2009, con effetti negativi sul sistema globale di distribuzi­one e sul ciclo economico. Allacciate le cinture.

‘‘ Consumi crescenti, embargo all’Iran, collasso del Venezuela alimentano i rincari

Il barile potrà arrivare a 100 dollari. Possibili effetti negativi sul Pil italiano

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