PETROLIO, C’È UNA BOLLA NASCOSTA DIETRO L’ANGOLO
Dopo anni di sostanziale stabilità dominati dalle forze della domanda e dell’offerta, il prezzo del petrolio sta sperimentando una rapida ascesa in cui è possibile la speculazione e un balzo irrazionale delle quotazioni. Nonostante il prezzo oscilli intorno agli 80$, l’aumento delle headlines sui media che profetizzano il raggiungimento dei 100$ in pochi mesi è indizio che una bolla speculativa potrebbe essere in formazione.
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Ci sono fattori oggettivi che spingono verso una riduzione dell’offerta globale di greggio, nonostante l’industria petrolifera abbia raggiunto lo scorso agosto i 100 milioni di barili prodotti al giorno (bg).
Nel breve periodo, l’elemento geopolitico è preponderante: con il collasso economico la produzione del Venezuela è crollata a 1,3 milioni bg (erano 2,7 nel 2015). Il solo annuncio dell’embargo Usa ha già sottratto 700mila bg dalla produzione dell’Iran (sarà più del doppio dal 5 novembre); un risultato ben oltre le attese dell’amministrazione Trump i cui tweet, aggressivi nei confronti dell’Opec, mirano ad ottenere un aumento di produzione, paradossalmente motivati dall’imprevisto successo dell’embargo.
Nei prossimi mesi India e Cina potrebbero tagliare ulteriormente le importazioni dall’Iran. La soluzione di finanza strutturata promossa dall’Unione Europea per consentire alle grandi corporations di aggirare l’embargo, rischia di rimanere solo sulla carta. Si tratta di uno specifico veicolo (Special Purpose Vehicle) che dovrebbe re-indirizzare i trades petroliferi delle imprese ancora in affari con l’Iran su euro e altre valute; tuttavia pare che al momento le corporations preferiscano mollare per accedere al mercato Usa rispetto a tecniche rischiose di elusione.
Altri fattori strutturali spingono ad avere una visione bullish: il boom dello shale oil, che ha spinto la produzione totale Usa ad 11 milioni di bg, soffre di colli di bottiglia infrastrutturali. Non ci sono abbastanza oleodotti per convogliare tutta la produzione sui mercati, e l’industria Usa sembra riluttante ad effettuare i necessari investimenti. I tassi di interesse in crescita rendono i finanziamenti più costosi da ottenere, ma ci sono altre ragioni: secondo il geofisico Jean Laherrère la produzione dello shale oil raggiungerà un picco entro il 2020 a 5 milioni bg, per poi declinare velocemente dell’80% nei 5 anni successivi.
Resta l’incognita dell’Arabia Saudita, l’unico Paese che può realisticamente aumentare l'offerta nell’arco di mesi. Tuttavia, considerata la trasparenza nulla sulla produzione saudita, è difficile ritenere che la compagnia nazionale Aramco possa compensare tutte queste riduzioni dell’offerta globale.
La domanda delle economie emergenti resta robusta, nonostante il prezzo sia aumentato del 45% da settembre 2017. Anche nell’Italia della ripresina, le importazioni di petrolio crescono decise: nel 2017 fino a 1,37 milioni di bg dopo il minimo di 1,17 del 2015.
Quanto potrebbe impattare sul Pil un rialzo persistente di 20 dollari del prezzo? L’effetto dipende dal peso relativo del petrolio all’interno della bolletta energetica del Paese; per l’Italia è in lieve calo da anni ma comunque resta sopra il 30%. Una stima prudente gira intorno allo 0,4% annuo di Pil in meno. Decimali che contano.
In definitiva i fondamentali spingono il prezzo del petrolio; con una bolla speculativa si potrebbero toccare i 100$ in poche settimane per poi avere un crash stile 2008-2009, con effetti negativi sul sistema globale di distribuzione e sul ciclo economico. Allacciate le cinture.
‘‘ Consumi crescenti, embargo all’Iran, collasso del Venezuela alimentano i rincari
Il barile potrà arrivare a 100 dollari. Possibili effetti negativi sul Pil italiano